È stata Pasqua di pattuglie in strada a contenere la voglia di uscire incontro alla festa di primavera. Ha costretto a ricordare di che giorno si tratta: la liberazione dalla morte del condannato alla crocefissione, la forza che rimuove la pietra del sepolcro e smentisce la morte.
Come non muore il seme sottoterra, invece si trasforma, germoglia, aprendosi la via verso l’aperto. È stata Pasqua di semina, di passi rimandati, ma non per questo fermi. Sono, al contrario, settimane di un intenso viaggio. Si sta dentro il proprio vagone mentre al finestrino scorre, invece del paesaggio, il tempo. Scorre il tempo di fuori, dei bollettini medici che sono i soli titoli che contano e sono pure titoli di viaggio verso una destinazione ancora incerta. Ma pure dentro lo stesso treno, continuano a esserci vagoni di prima, seconda e terza classe, dove chi ha meno spazio intorno e sta più stretto, ha più perdite e soffre più sconforto.
Scorre il tempo di dentro che cerca una bilancia, un contrappeso al piatto stracarico di lutti. Doveva esserci proprio la decimazione per tornare a vedere dal Punjab la catena montuosa Himalayana, i delfini a Napoli nel mare di Posillipo, messaggi equivalenti alle lucciole che mancavano a Pasolini?
Siamo una specie che si attacca ai simboli per intendere la propria realtà, trovare una potente spiegazione al dilagare degli effetti, in cerca di un punto di equilibrio tra se stessa e il mondo.
Pasqua di viaggio dentro il convoglio di una Transiberiana diretta verso oriente, che è origine, recupero, restauro. È viaggio partito dal binario morto di una vita intesa come accaparramento. Si sta condividendo un mistero in corso, che ha l’andamento di una conversione.
Lungo qualche via verso Damasco, la specie umana è ruzzolata sbattendo faccia a terra e scoprendo che tale posizione è un adeguato punto di osservazione del futuro.

Verso Damasco miglioreremo? Non credo…
Il deserto, stordita la tentazione di accelerare il passo per raggiungere quel miraggio mobile, sconfina nella prateria che irretisce la mente con un cambio di colore, predisponendo all’attesa che possa addirittura fiorire, il deserto. E non è un’inoculazione di speranza, quando la prima visione si distanzia dalla seconda; è passata soltanto qualche parola in più sulla pagina.
E non è che è passato il resto dell’umanità, che vive e si sfama di un’estate perenne.
Basterebbe, allora, mangiare quanto basta… perchè questo deserto sia attraversato fino alla fine e la presunzione di esserne fuori raggirata, se soltanto si alzasse per primi la saracinesca mentale?
Possano certi mali estinguersi lungo una lenta traversata. “Che sia lungo il viaggio…”: non è un auspicio, è fare economia. Quella all’altro capo della pagina già recedeva a causa di speculazioni cieche. O mancanza di insight.
Chi riuscisse ad aprire per primo, si ponesse almeno il problema dell’ “offerta” a chi deve restare chiuso.
E saremmo avanzati nel deserto e non soltanto sulla carta con l’aggiunta di qualche parola in più.
Viva l’Italia!
Caro poeta, le definizioni per descrivere questa Pasqua potrebbero perdersi in innumerevoli rivoli. Se chiedi agli italiani, Pasqua e Pasquetta coincidono con il tempo di apertura delle gite, con la carbonella e il pintone di vino messo a rinfrescare nel fiumiciattolo fuori porta. La Pasqua è una tovaglia di prato ancora umida, di partite sonnolente di carte, di cibo portato da casa a pentoloni, di piccole foreste da esplorare per sentirsi meno cittadini del solito. Poi viene Gesù, ma poi! col suo sacrificio di sempre, quotidiano ogni giorno della nostra vita, mica solo su una data fissata sul calendario. Quest’anno è successo l’imprevedibile, Gesù è passato al primo posto per molti (… un po’ meno per quelli che si sono messi in macchina nelle tangenziali, rivendicando il diritto alla festa fuori porta, in culo a ogni vergogna e alle ordinanze). Il suo sacrificio si è innestato a quello delle vittime del Covid 19, a quello dei medici e cassieri dei supermarket, a quello della gente costretta a casa.Gesù ha smesso di essere identificato un attimo con una festicciola ed è visibile per quello che è sempre stato: sacrificio. Domani so già, dovessi ricordare questa Pasqua di peste, esser due gli apporti di memoria che non potrò cancellare, perché che già mi tormentano oggi: la vista del circondario rigata dalle sbarre dei balconi e il senso di soffocamento comune, mentre gli alberi dei giardini davanti allungano i rami quasi a volerci toccare. Impari anche , da una finestra costretta, che la natura se ne fotte di noi. Se ne fottono i piccioni che da basso aspettano la ‘scotoliata’ delle tovaglie; se ne fotte il Po che è tornato verde a Torino, da quando nessuno lo scoccia più; se ne fottono i topi e gli scarafaggi dei nostri piedi cittadini che non si fanno più vedere in centro; se ne fottono le nuvole e il sole che si alternano in un cielo cui si guarda per metter mano al rosario e non ancora all’ombrello. Me ne fotto io del calendario ma guardo con rabbia ogni tramonto. Qualcuno ha deciso che ci dovessimo fermare,e fermare anche tanto! Nessuno di noi era pronto a essere arrestato e incarcerato ingiustamente. Non lo era nemmeno Gesù, nonostante le scritture avvisassero, che sudava sangue in un giardino notturno, eppure… eppure oggi tocca a noi accettare una disgrazia. Chissà come ha ricevuto la notizia Gesù la notizia del secolo nell’alto dei cieli : ” ANNUNCIO: In tempo di peste nel 2020, nel giorno della St.ma Pasqua, Gesù Cristo risorto,in Italia,batte braciola di maiale in riva al fiume e la gitarella al mare 10 a 1″ (dove l’uno fisiologico è in percentuale il sordo a qualsiasi parola oltre la propria). Non saremo all’altezza come Lui, e chissà s’è contento del magro risultato. Tuttavia spero accetti comunque le nostre preghiere, perché ‘sto cielo non dev’esser buono solo a contar giorni, o no? Di nuovo Buona Pasqua Erri, bacini dal tuo tappino.
Oriente express
( fu e’press)
È stata Pasqua di pattuglie in strada
.È stata Pasqua di semina,
di passi rimandati,
ma non per questo fermi.
Sono settimane di un intenso viaggio.
al finestrino scorre,
invece del paesaggio,
il tempo.
Scorre il tempo di fuori,
dei bollettini medici,
titoli di viaggio verso
destinazione ancora incerta.
Dentro lo stesso treno,
vagoni di prima,
seconda e terza classe,
chi ha meno spazio
sta più stretto,
ha più perdite
e soffre più sconforto.
Scorre il tempo di dentro,
cerca una bilancia,
un contrappeso al piatto
stracarico di lutti.
Doveva esserci proprio la decimazione
per tornare a vedere
la catena montuosa Himalayana,
i delfini a Napoli nel mare di Posillipo?
Ci si attacca ai simboli
per intendere la propria realtà,
e trovare una potente spiegazione
al dilagare degli effetti,
in cerca di un punto di equilibrio
tra se stessa e il mondo.
Pasqua di viaggio
dentro una Transiberiana
diretta verso oriente,
che è origine,
recupero,
restauro.
È viaggio partito dal binario morto
di una vita di accaparramento,
condividendo un mistero in corso,
che ha l’andamento di una conversione.
Lungo qualche via
verso Damasco,
la specie umana è ruzzolata
sbattendo faccia a terra .
punto di osservazione
del futuro.
Adele
Liberamente tratto da Punto di osservazione, Erri De Luca
Grazie Erri! per nuovi giorni di liberazione e resurrezione per tutti! Per ridere, anche se non è il momento: la metafora dei vagoni mi piace molto. Quando prestavo servizio nel viaggiante spesso il treno dei pendolari era strapieno, in seconda classe; così dicevo agli operai: “la classe operaia va in paradiso” e li invitavo ad accomodarsi in prima, senza aggravio di tariffa…Ora speriamo di non andare troppo presto in paradiso. Un abbraccio gigi e tutti