Alla donna che vende per strada libri di autori africani, compro le poesie di Léopold Senghor, senegalese. Leggo l’Africa e ripenso al poco che ne ho intravisto.
Prima la Tanzania negli anni ottanta, la lingua Swahili imparata sulla grammatica di un missionario italiano, le sere passate a usarla sotto il grande mandorlo indiano del villaggio. Il vitto era quello del posto, riso, farina di manioca, l’acqua prima bollita, il grido “Nyoka” di chi avvistava un serpente velenoso tra le casupole. Si radunavano per eliminarlo. La sera oltre il fiume un leone tossiva le sue sillabe cupe a marcare il suo posto. Le zanzare avviavano lentamente alla malaria, nessuna profilassi reggeva a lungo.
La Tanzania era l’Africa che si affrancava dai secoli del colonialismo e della sudditanza, tentando un socialismo rurale temperato dal clima. A quelle latitudini Cuba vent’anni prima aveva iniziato l’esperimento di abrogare il capitalismo, senza troppa rigidità disciplinare. Avevo letto Cartier Bresson, il fotografo che riportava nel ’63 una frase raccolta al volo in strada, come uno scatto del suo apparecchio Leica: “Per tutta la settimana siamo attivisti marxisti leninisti, ma le domeniche sono nostre”.
Cartier Bresson aveva conosciuto il vicecapo di quella rivoluzione, un certo Guevara, Ernesto detto Che, ministro dell’industria.
Poi l’Africa è stata un po’ di Sudan, lo spettacolare ospedale di cardiochirurgia, opera di Emergency, sulla riva sinistra del Nilo Azzurro. L’Africa è stata una notte di bivacco accanto alle Piramidi Nere dell’Alto Nilo.
Oggi l’Africa è un’immensità in viaggio sulle montagne russe del tempo. I Cinesi ne comprano le terre con il progetto di sfamare le loro moltitudini future, mentre spargono a distesa i loro pannelli solari. I predoni del mondo continuano a succhiare sangue dai diamanti, dall’oro, dal petrolio, mentre spuntano antenne e internet sopra le catapecchie.
L’Africa è il rumore di fondo del tempo che cammina, il basso continuo sul quale si spiegano le varianti improvvisate di molti strumenti.
Il solo continente piazzato al centro del mondo con più terra emersa sopra il parallelo chiamato Equatore. Sta a bilancia tra gli emisferi e a riserva del pianeta. Le sue belve popolano i suoi francobolli più che le sue distese, le sue generazioni umane popolano già il mondo.
Leggo Senghor e l’Africa torna a darmi le vertigini.
Erri De Luca
Domanda-ma vale per tutti?-
Allora che gioco cretino è?
Altra domanda
Il “nukaka” di un villaggio specificherebbe che “hai visto la luna” in un ciclo di 26 minuti. Beato quel “sé”, dico io, sperando non si tratti di andropausa, per la quale non ho trovato il corrispettivo vocabolo in alcun africano corrente o soprassedente un consiglio.
Nukaka che bella parola esotica
Avrà almeno lui visto la faccia della luna
Quella a noi nascosta?mah……
Diventa sempre più difficile scrivere commenti
Quando si viene sempre sospettati di
Smodatezza in qualche modo….
Sorridente e verde
Propongo un manifesto,scritto di suo pugno,
Di Tappino torinese contro lo strapotere
Strabordante del rancore in tutte le sue forme
-PER UN MONDO SORRIDENTE –
Il titolo è il contenuto
Fantastico testo chiaro nella forma del racconto saggio, non mancano gli elementi critici, scritto di grande bellezza…
Inutilmente abbiamo chiesto a Lucy…
Non ci ha risposto
Siamo poco umani
Pare certo ormai:veniamo dall’Africa e
Indecentemente continuiamo ,come i più
Ingrati dei figli,a ignorare la nostra comune terra
madre.
Onora le origini il primo comandamento
comune a tutti gli uomini.Mi chiedo che cosa
Può e potrà produrre ancora questa
smemoratezza dolorosa…..
Non hanno memoria …sono poco umani
.
“Nonli” è il vocabolo togolese per identificare un’ombra, un fantasma. Lo apprendo in una afosa giornata di Luglio, con i piedi che affondano nel bagnasciuga e i pensieri ad inseguire un antro nella mente dal quale iniziare il viaggio… Grido: “non lì!”, in direzione di mia figlia che non ha nessuna intenzione di starmi a sentire, mentre la donna con cui ho barattato quel libro si volta e mi sorride. Il linguaggio scava dentro per raggiungere quel fiume sotterraneo nel quale intingere il pennello. Sento che l’Africa sia questo. Credo che, “senza il favore degli dei, l’uomo non è niente”. E’ un Non-lì! ri-Mettiamoci all’ombra.
Meraviglia “nonli'” , avviso di pericolo, perché anche i fantasmi sanno stare al sole. Penso al sorriso di quella donna africana che lontano da casa ha sentito una parola conosciuta, e che i sorrisi portino a casa, anche se la parola non era nel contesto giusto…o forse no?
Volessero gli dei che una parola sia bastata per entrare in contatto con l’universo di quella donna e riaccenderlo. Il contesto era quello giusto ma l’unica macchietta, dopo lo strafalcione, ero io.
(Citi l’Africa oggi? Chissà com’è… io ho visto il suo orlo da lontano, da Malta…)
Mio padre era per metà africano, eritreo. Il suo, un italiano campano che non gli ha lasciato ricordo o nome, solo la voglia di ridere che gli affiorava a ogni occasione.
Quante volte ci ha descritto la sua terra, quel mare strano e cristallino dove i pesci giocavano a riva tra i piedi ballerini dei ragazzini. Il sole, una frusta sulla terra rossa di vergogna, la generosità degli alberi da dattero, primo cibo a riva e unica merenda offerta col poco pane della colonia italiana. E’ stato felice finché era lì, l’Africa è una mamma povera, ma sempre mamma è; e lui figlio come tanti di una guerra come tante, che la lasciava speranzoso, saltato sul piroscafo ai ventuno anni scoccati per guadagnare una vita migliore in Europa, con il benestare di uno stato italiano che lo aveva accolto come contribuente ma gli aveva negato il diritto al nome paterno… e vabbuò.
“Appena mi rimetto ci torniamo… c’è guerra, c’è sempre la guerra nel mio paese. E ci sarà per sempre…è inutile aspettare che finisca”. Lo diceva sorridendo, forse lui sapeva qualcosa che a noi occidentali è vietato sapere, ovvero che L’Africa è talmente ricca che sarà sempre oggetto di mire espansionistiche, e quel ‘per sempre’ si allarga come il moto infinito di un onda sonora nello spazio. Ogni tanto incontrava qualche paesano, parlava in tigrino con loro e io mi incazzavo perché s’era sempre rifiutato di insegnarcelo (a parte un paio di parolacce che non sto a ripetere). “ Che te ne fai?” mi diceva. Quando gli ricordavo la promessa che aveva fatto di portarci in Africa ripeteva il ritornello…” Ma c’è la guerra, c’è sempre la guerra”. E infatti è ancora lì, dieci anni dopo la sua dipartita; s’è messa di traverso per tutto il continente aggiungendo altri scrocconi di risorse e gli effetti sono visibili sulle nostre coste da anni ormai… come hai spiegato. Eh…Non siamo andati in Eritrea, mai. Fra i tanti viaggi fatti, i soldi spesi per vedere altri paesi, quello era uno dei pochi di cui mi fregava qualcosa, e mi fregava di vederla con lui. Adesso a quel “Che te ne fai?” dovrei rispondere: niente papà, adesso niente. Prego solo che chi intraprende il viaggio per venire qui dai paesi africani trovi mare calmo, tempo buono e le nostre mani a tirarli fuori sani e salvi dalle grinfie degli scafisti. (Per gli eritrei in viaggio mando avanti lo spirito di mio padre, perché ovunque oggi sia, è ancora uno di loro, e saprà come farli ridere durante il tragitto.) Ciao Poeta, bacini. <3
Tappino, grazie per le tue parole, che dicono anche ciò che io non so dire. Questa volta hai quasi superato Erri.
Mi son venute bene due parole, sarà mica perché son partita dalle sue? Nessuno supera Erri. Neanche Erri. <3 cmq grazie, sei carina 🙂
Tappino torinese ti eleggo donna
dell’ anno per avermi fatto conoscere il tuo sorridente padre che ovunque sia
Saprà far ridere i migranti durante il tragitto.Insieme a lui il grande Chaplin,
Etty Hillesum,Il principe Myskin,Alice e
Il sorridente gatto,l’allegra brigata
del capitano Cocq. (l’unica ronda che mi piace) e tanti altri umani o frutto della
Umanità degli uomini.Insomma tutti coloro che hanno portato sorriso e gentilezza tra le disgrazie del mondo.
E allegria ,la buona allegria declinata
In mille modi diversi…..ce n’è un gran bisogno.L ‘allegria è mite,naturale
Antidoto alla tristezza del mondo.
È uno degli ingredienti del balsamo
Curaferite di Etty.Per favore scrivi
Più spesso.mille abbracci.eles
L’Africa è il Senegal di Senghor, visitato con altri sette toubab sprovveduti nel pulmino di un viaggio solidale. L’Africa è la guida Moustapha, che legge e scrive in italiano, e che ho ritrovato a Milano, molti anni dopo.
L’africa è il Senegal della politica, di un viaggio maldestro alla ricerca della via africana al socialismo.
L’Africa è l’amico Amadou, che scrive di guerre e genocidi, e che ha incontrato il suo destino sotto il crollo di una moschea.
L’Africa sono i grandi baobab, che non sanno fare foresta perché hanno bisogno di stare larghi: è Gorèè, con la sua porta maledetta sulle acque. Sono le donne che vendono i manghi ai margini delle strade, nere nella notte nera.
Sono le donne nere, le madri, come cantava Senghor. Le madri di tutto il mondo che è venuto dopo.
Almeno tu ci sei stata 🙂 … vedo che ti ha lasciato un sorriso da ‘nonostante tutto’. Questo è bene. Devo proprio leggerlo questo Senghor