Come a molti bambini, mi è stata insegnata la bicicletta e il nuoto. Sono due avviamenti all’indipendenza, insegnano a muoversi da soli. Si apprendono senza maestri, con l’aiuto di un adulto che si dedica.
Per la bicicletta si usavano le rotelle di supporto per mantenere l’assetto e impedire cadute. La persona che m’insegnò scelse di non usarle, dovevo imparare cadendo e superando il timore di cadere. Mi reggeva il sellino in partenza e mi lasciava andare. Cadevo, non ho imparato e non imparo alla svelta. Volevo rinunciare, non me lo permise. Era vergogna arrendersi, vergogna la paura di cadere. Ho imparato, perché la mortificazione del ritiro era più forte del dolore delle ferite.
Un bambino doveva imparare a pedalare. La bicicletta non era un giocattolo, era l’apprendimento a fare da solo. Era il primo lasciapassare per allontanarsi. Quel poco di aria in faccia era l’anticipo di ogni successiva libertà. Difficile e rischiosa, bisognava guadagnarla e comportava un po’ di vuoto intorno.
Fu così per il nuoto. I bambini facevano il bagno dove potevano toccare il fondo con i piedi. C’erano le camere d’aria a ciambella per sicurezza, ma erano per le bambine. I maschi facevano senza. Un adulto decise che era tempo di farmi galleggiare e di nuotare. Mi portò dove non toccavo il fondo e mi fece vedere i primi movimenti. Li eseguivo male, finivo sott’acqua, mi tirava fuori. Bevevo, tossivo, avevo paura, ma avevo saputo dalla bicicletta che si doveva fare. Era una stazione di passaggio da un’età dell’infanzia a un’altra. Le prove affrontate consegnavano un invisibile diploma di abilità. Ogni apprendimento affrancava dall’inferiorità.
Imparai a galleggiare in posizione da morto, non so se si chiama ancora così la sospensione orizzontale del corpo sull’acqua, che utilizza il principio di Archimede.
È una prima scoperta che rimuove la paura di affondare. Poi imparai a muovere gambe e braccia per restare a galla. Si dedicò a quelle lezioni per una settimana. Guadagnavo così l’approvazione degli adulti. Era un riconoscimento che aiutava a crescere, il verbo più importante dei bambini. Capivo che non consisteva in un traguardo raggiunto, perché seguiva subito un nuovo gradino da affrontare.
Non so se provai allora gratitudine per chi mi ha insegnato la bicicletta, il nuoto. So che non ho ricambiato, non ho trasmesso a un bambino quegli addestramenti. Sono rimasto allievo.
Foto di Diego Zanesco
Caro Poeta, come al solito riesci a rievocare ricordi che credevo cancellati, o comunque ammassati sotto altri e solo di pochi spuntano lembi da poter pizzicare e tirar via. L’unico ricordo buono che ho del compagno di mia madre è che, con i suoi modi da vero stronzo, riuscì a insegnarmi a guidare una bici. Durò solo dieci minuti di un pomeriggio di primavera, su una bici nuova di zecca. Quella bici era coloro granata metallizzata, una Graziella. Mio padre salvò non so come dalla sua economia fatta di alcoole e sigarette i soldi per comperarne una a me e una blu a mia sorella, nell’anno di una Pasqua felice; ma durò due giorni soltanto, il tempo di imparare ad andarci sopra e me la rubarono dal cortile. Il costo di due catenacci e di due lucchetti sembrava troppo gravoso al compagno di mia madre, così decise di legare solo quella di Lucia; la mia la rividi poche settimane dopo, ridipinta di verde pisello sotto al culo del dirimpettaio del quarto piano, la riconobbi dal carter scassato dalla prima caduta libera. Feci poi pratica con quella di mia sorella, ma non perdonai mai il compagno di mia madre di quel menefreghismo che mi costò l’unico vero giocattolo regalato dall’astemia provvisoria di un padre. Il nuovo invece lo imparai da sola, e non so come… forse per bisogno. Ho sempre avuto un rapporto speciale con l’acqua, ma ne ho più paura oggi che mi rendo conto di non potermi prendere troppa confidenza col mare, rispetto a quando ero piccola. Tra le tante zie che la sorte mi ha dato in sorte, ne ho una che negli anni ’70 viveva ad Alassio. Erano gli anni in cui i tedeschi portavano tanti marchi alla Liguria; la povera zia lavorava giorno e notte tra locali, ristoranti e alberghi e aveva tre figli da guardare. Il treno delle 22:33 in arrivo da Torino per lei era un assillo da giugno a settembre, perché era sempre possibile che qualcuno di noi parenti piemontesi bussasse alla sua porta improvvisamente. Di tutti i consanguinei scrocconi di vacanze al mare, noi eravamo gli unici ‘educati’ a preannunciarci con una telefonata che non era di permesso, era piuttosto un ” Ci vediamo domenica sera!” e tlack. Zia però non ci diceva mai di no, anche perchè si andava con la nonna che era disponibile a guardarci tutti e cinque, a cucinare e riassettare al posto di una donna che lavorava tutto il giorno. Il mare era un familiare come la zia, era come se mi aspettasse e io aspettassi lui. Non ricordo nemmeno la prima volta che lo vidi, o che sensazione provai… avrò avuto sei anni e tentarono di mettermi i primi braccioli gonfiabili comprati all’edicola, che ruppi in un istante con un bel morso ciascuno. Sapevo di non averne bisogno, e a parte il costume non sopportavo altro addosso, manco gli intrugli protettivi ( e ancora adesso è così!). Sapevo che me la sarei cavata, che il mare non mi avrebbe mai fatto del male, e imparai così a stare a galla. Tuttavia è rimasta la sensazione ogni volta che ci rincontriamo di farne parte in qualche modo, mentre i laghi e le piscine continuano a mettermi un’ansia che non capisco. Ecco, ti ho annoiato di sicuro un’altra volta. Ma come al solito, è tutta colpa tua. TVB, il tuo tappino
Un allievo non dà il diploma ad un maestro, come un figlio non fa un genitore. Ed un allievo non coincide con il figlio…
Allievo e maestro confluiscono l’uno nell’altro, nell’urgenza di una richiesta di adattamento al mondo e di un passaggio all’autonomia. Si patisce insieme, è necessario questo aspetto emotivo per rinnovare il senso di uno stato. Di grazia.
Poi accade semplicemente : di abdigare, per esaurimento di linfa vitale, a favore di sé stessi, per dare nuova voce all’allievo che si è stati. Alle sue impressioni, ai suoi valori, a quello che non si è perduto. Che è caduto, magari, e poi si è rialzato. È il caso di un autodidatta.
P. S. Anche un uccello, se pensasse di stare volando, cadrebbe, nonostante tutto in lui sia predisposto al volo. L’atteggiamento nei confronti del mezzo di cui siamo muniti, non dovrebbe essere influenzato dai moniti o gli incoraggiamenti del mondo che plasma la personalità.
Non sono riuscita ad insegnare niente alle mie figlie, se non il coraggio di mollare tutto soltanto quando abbiano capito di aver sbagliato strada.
Penso che non avere insegnato ad andare in bicicletta e a nuotare possa rappresentare una sofferenza. A proposito di questo penso che sia ancora più doloroso avere figli e non avergli insegnato ad andare in bicicletta e a nuotare perche può esserci anche questa possibilità. Ritorno alla sofferenza di non avere trasmesso gli insegnamenti necessari alla vita per mancanza di figli, però, nel caso di Erri De Luca vorrei soffermarmi sugli straordinari insegnamenti che ha trasmesso e trasmette a chi lo legge e a chi lo ascolta. Potrebbe considerare chi lo legge e chi li ascolta figlie e figli.