Nell’autunno del 1946 lo scrittore svedese Stig Dagerman è inviato in Germania a raccontare la desolazione dei tedeschi nel primo dopoguerra. Famiglie accampate negli scantinati allagati, senza cibo, profughi tra rovine totali.
Dagerman scrisse cronache potenti.
“La sofferenza tedesca è collettiva mentre le crudeltà tedesche, nonostante tutto, non lo furono. Oltre la fame e il freddo non sono incluse tra le pene comminabili dalla giustizia…”.
Altri corrispondenti chiedevano a quegli accampati se stavano meglio prima, sotto Hitler. Che dovevano rispondere? Ne concludevano che i tedeschi erano ancora nazisti.
Tutto un popolo subiva un durissimo castigo collettivo, trascinato alla rovina dalla dittatura. Dagerman polemizza: si pretende dai tedeschi un comportamento etico? Un’affezione per le prime elezioni indette in quelle condizioni?
Cita Brecht, dall’Opera da tre soldi (Die Drei Groshen Oper): “Prima viene il cibo poi viene la morale”.
Un popolo ridotto a relitto deve prima recuperare un grado minimo di sopravvivenza per potersi interessare alla politica e all’etica. Il popolo tedesco aveva bisogno di tempo e ne ha fatto buon uso.
Ma pure se sotto occupazione e stremato, aveva il vantaggio di essere stato liberato dalla dittatura. Non poteva percepire il sollievo, riconoscibile solo più tardi.
A fianco delle cronache di Dagerman, Roberto Rossellini girava “Germania Anno Zero”, ambientato tra le macerie di Berlino nel 1946.
È per me il racconto definitivo sui dopoguerra.
In ogni conflitto un popolo aspetta il suo anno zero.
Sempre grande Erri, per quello che ci ricorda, per quel che ci dice e anche per quello che non dice.
Quel bambino che si butta dal palazzo.. Non si dimentica