In un racconto prossimo alla perfezione, La Rosa di Paracelso, Borges fa dire al protagonista: “Ogni passo che farai è la mèta”.
Non è un rovesciamento e neppure un paradosso. Il traguardo sta dentro il percorso, non nella sua fine. Ho questa sensazione due volte, quando scrivo una storia e quando scalo.
La pagina che aggiungo alle altre ogni mattina appartiene all’insieme più vasto di un racconto, ma basta per farmi sentire che contiene tutto il viaggio. Si iscrive nel corso del giorno che è la mia unità di misura del tempo. Non tengo conto dei mesi, delle stagioni. Aggiungo uno alla volta i giorni, divisi uno dall’altro, come le pagine.
Il traguardo di una giornata non sta nel suo tramonto, ma nei gesti che l’attraversano.
Nella scalata valgono i centimetri, la distanza da un appiglio a un altro che governa i movimenti del corpo. Iniziata la linea verso l’alto, ogni passo equivale a una riga, che sulla pagina si allunga verso il basso. La scalata va in su, la scrittura scende, entrambe contengono la frase di Borges: ”Ogni passo che farai è la mèta”.
In cima a una montagna non c’è perché nel suo punto più alto sparisce sotto i piedi.
Al termine di una scrittura mi affaccio sul vuoto delle righe che stanno sotto l’ultima. È il termine. Il traguardo è alle spalle.
Certe frasi come questa di Borges hanno bisogno di passare attraverso il mio corpo, coincidere con una sua evidenza, per essere verificate. In astratto possono essere brillanti, ma senza il mio consenso fisico sono per me vuote.
Chi scala, come chi legge, fa esperienza di una superficie. Nello sfiorarla sta la ragione, lo scopo, anche la mèta che ha mosso l’intenzione.
“Ogni passo che farai è la meta” (Borges).
“Il traguardo è dentro il percorso” (Erri De Luca).
Come Borges, zigzagare per destrutturare l’io e sospendere la modalità causa-effetto con cui la ragione ordina il mondo.
Sono d’accordo sul fatto che non occorra vedere per credere a tutto un mondo di affetti, il centro di sé, il vero propulsore e unica meta…
Ma a viaggiare in cerchio si ritorna sempre da sé stessi: è quello che io, invece, ho sperimentato. Il mio unico interesse è la ricerca dell’immensa meraviglia che si nasconde in un fuori programma. Di solito sono io fuori dai miei programmi e allora la lettura… Il solfeggio, per esempio.
Caro Poeta, è bella la frase di Borges che ripercorri… bella perché è da poeta. Non ho letto quel racconto, ma credo che sia stato di un periodo felice e produttivo dell’autore, quando forse ancora gli era possibile veder qualcosa di ‘quella meta’. E’ una frase di speranza, vera come son veri i progetti dei giovani, le speranze delle spose, i passi dei bambini, i balli campestri. Tu metti la stessa speranza in quella frase, la aggreghi a un progetto da giorno per giorno, da mano arrancata e forza sulle gambe per guadagnare il passo in verticale in scalata… ma com’è diversa la prospettiva al pianoterra di chi certa speranza l’ha scordata. I miei giorni, questi da molti anni, sono inglobati a mesate, scanditi da scadenze da pareggio, da esami, da racconti che respingo perché non ho tempo per loro, e lascio bozze in giro, raminghe incomplete e barbone in attesa indirizzo. Il tempo si fa lungo e svuotato di bellezza in mezzo. Salta a ponte di Brooklyn bimestri, stagioni, Natali… com’è come non è ti guardi indietro e son passati cinque anni dal tuo processo, tre dall’iscrizione universitaria, troppi da quando ho smesso di vedere un traguardo, una “méta”, e chissà di chi è colpa. Non che io demorda, e devo dire che magari senza volerlo anch’io in qualche modo ho fatto ieri i passi di quella maniera senza saperlo… ma per tutti gli ultimi percorsi a quel pianoterra devo cambiare l’accento alla frase: “Ogni passo che farai è la metà”. E’ il passo di questi anni… forse per troppe persone. Così avviene in città di paesi in difficoltà, con piccole vite che non diventano grandi, così avviene per chi le abita a fatica e pensa di far molta strada, riducendo però il tratto dei passi e limitando le aspettative. Anche quello è allenamento, in orizzontale: sapere che con la metà dei passi si corregge la distanza da mete possibili in altri anni, ma non scontate oggi, specie quando si ha la zavorra di una realtà ossidata ad appesantire il cammino. Passerà… e sposteremo l’accento un’altra volta. Ciao tesò, io non demordo, anche se faccio i passi a metà (tanto ho già i piedi piccoli) . kisses <3
A ognuno il proprio viaggio e le proprie mete✨✍
Straordinaria profondità di Borges/Erri…Buona giornata resistente dalla Valle che resiste – gigi
Come in questa poesia del mio collega (faceva il mio stesso lavoro, funzionario al Servizio Irrigazione…) Kavafis:
ITACA
(di Konstantinos Kavafis, trad. F. M. Pontani, 1961)
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto e squisita
è l’emozione che ci tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi
né Poseidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.
Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d’estate
che ti vedano entrare (e con che gioia
allegra) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d’ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Recati in molte città dell’Egitto,
a imparare dai sapienti.
Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna a quell’approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all’isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.
Itaca t’ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.
E se la ritrovi povera, Itaca non t’ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca.