L’ Europa non è una nave e non corre pericolo di arrembaggio da parte di pirati. La sua vulnerabilità è tutta interna. L’ Europa è una cucina e occorrono tutti i suoi ingredienti. Primo di questi: il flusso migratorio, contro il quale è inutile il filo spinato. Muri e mari non servono a scacciare. Neanche la pena di morte servirebbe: l’affrontano già.
Sono flussi che rinnovano nascite, energie produttive, forze lavoro. I nostri politici preferiscono chiamare “ondate” questi spostamenti. La parola vuole suggerire alla terraferma il bisogno di proteggersi dalle inondazioni. Ma gli esseri umani hanno la proprietà fisica dei solidi, che possono affondare ma non evaporare. Con “ondate” i nostri politici si procurano qualche consenso elettorale sfruttando il sentimento della paura. Ma la storia d’Europa è gigantesca per il coraggio, per l’esplorazione dell’ignoto, perché visionaria, non perché impaurita e miope.
L’ unione europea deve accorgersi che la sua origine è Mediterranea. Deve alle sue correnti la diffusione del vocabolario, delle arti, delle religioni. Deve al Mediterraneo anche il nome Europa. Il peggiore sbaglio e il maggiore limite è ridursi a un’espressione economica, al territorio, o peggio alla zona, dell’euro. Ma Euro è l’antico nome greco del vento di Sud Est. Sud più Est: sono i due punti cardinali responsabili della civiltà europea.
Euro è un vento, non una banconota.
Oggi alcune tensioni superficiali spingono contro la moneta unica per tornare a stampare a volontà il biglietto locale. Questa spinta di scarso significato politico, ne assume uno strategico, da “Finis Europae”, proprio perché lo stato dell’unione si misura sui minimi termini di una moneta in comune.
Il primato del mercantile sul politico rende il patto Europa inefficiente. Il suo Parlamento è un parcheggio di lusso per politici con carriera scaduta in patria.
Se l’Europa è l’ euro, allora è una fiche lanciata su un tavolo da gioco.
Se il valore Europa è la valuta euro, allora l’unione è una qualunque impresa commerciale e può fallire.
Antidoto a questo cedimento non è l’ abbassamento del traguardo, ma il suo innalzamento: non una riduzione delle aspettative, ma il rilancio dell’ideale fissato dai padri fondatori.
Nei secoli passati la religione cristiana si è spesso ridotta a compravendita di favori, indulgenze, benefici. Ne è uscita risalendo puntualmente alle origini della parola sacra.
Lo stesso rimedio serve all’unione europea. Risalire alla sua origine di ceneri e macerie, da dove partì il riscatto e la ricostruzione.
Voglio immaginare che sarà così. Voglio immaginare i suoi atleti partecipare alle Olimpiadi sotto una sola bandiera, ascoltare una musica scritta per il secondo tempo della Terra Europa.
Parole così chiare, così condivisibili e vere. E’ un evidenza, come dire penso quindi sono, come dire che la neve è bianca e il cielo senza nuvole e azzurro. Ma attorno a me sento solo ingiustificato odio e incontrollabile paura. L’uomo che teme l’uomo e anziché accoglierlo, come sembrerebbe naturale, lo allontana, lo rifiuta, lo condanna.
Di cosa abbiamo paura? che cosa temiamo di perdere? Non è mille volte peggio perdere la propria umanità che un finto benessere che si misura nelle quantità inutili di cose che possediamo e che hanno un unico vero scopo ed effetto: aumentare la nostra infelicità?
Dove sbagliamo? perché non ci ribelliamo? che cosa temiamo?
L’Europa-comunità…. Leggere “La comunità inoperosa” di Jean-Luc Nancy…”…la comunità, l’essere in comune, come la partizione originaria dell’esistenza, ossia quell’apparire insieme che ci divide e, nello stesso tempo, ci consegna, ci abbandona, gli uni agli altri…Si dà esperienza della comunità ogniqualvolta si presentano singolarità distaccate, esposte, che con-dividono la loro stessa divisione”.
Il suo traguardo, l’Europa, ce l’ha nell’inno: alla gioia.
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