Sono stato a Baronissi per i venti anni della Casa Della Poesia. Era il due maggio, data in cui morì a Sarajevo l’amico poeta Izet Sarajlic nel 2002. Insieme a Sergio Iaculli , promotore tenace di Casa Della Poesia,lo abbiamo ricordato nella spaziosa sala del convento dei frati.
Ho incontrato la poeta Francisca Aguirre, nata anche lei nel 1930 come Izet. Figlia di Lorenzo Aguirre, pittore anti franchista della guerra civile spagnola, ucciso dalla dittatura, si è iscritta al misterioso albo terrestre dei poeti. In omaggio a lei trascrivo una sua poesia dedicata ai lacci delle scarpe.
Ninnananna dei lacci.
Da lontano somigliano a bruchi,
sono come strani vermi di seta.
Da lontano, solo da lontano.
Forse perché noi ci mettiamo quello che gli manca,
cioè tutto o quasi quasi tutto.
Da lontano sembra che si muovano,
come fossero ondulati, strani scarti,
ossia come fossero vermi o bruchi.
Poi più da vicino vediamo con un certo sussulto
che si tratta dei lacci delle scarpe vecchie.
E allora diventiamo così contenti,
ci dà tanta allegria
che subito cominciamo a cantarli.
Perché una delle ninnananne più belle
è quella dei lacci delle scarpe vecchie.
Sì, i lacci erano imprescindibili.
Le scarpe erano sempre vecchie e grandi,
però avevano una qualità impagabile: erano scarpe.
Perciò che avremmo fatto con delle meravigliose
scarpe vecchie e grandi, ma senza lacci?
Nulla. Non avremmo fatto nulla,
saremmo andati scalzi.
Ma avevano i lacci,
quelle incredibili scarpe avevano i lacci.
Per questo i nostri piedi
se la ridevano di tutto:
quei lacci erano
come la chiave di uno scrigno,pieno di sorprese.
Quando li allacciavamo
le scarpe potevano andare dappertutto
e con esse i piedi,
i nostri allegri piedi avventurosi.
Così cantavamo con entusiasmo:
“Chi ha un amore
lo curi, lo curi:
scarpe e lacci
non li butti via, non li butti via”.