Non si chiamava più maestro, ma professore.
Lasciato il casermone delle elementari,portavamo ancora i pantaloni corti, marchio dell’infanzia. Qualcuno con quelli lunghi sembrava più adulto e più goffo.
I temi in classe, alle medie, avevano per titolo le materie di studio, perquisivano il livello di apprendimento. Ci attenevamo a un italiano statale, rigido come un modulo.
Senza potermelo spiegare, mi disgustava. La lingua imbalsamata faceva parte di una sottomissione generale al potere adulto. Nell’intervallo tra le ore ci sfogavamo col dialetto, una via di fuga. Ci sciacquavamo la bocca col napoletano.
Un giorno fu assegnato un tema libero, inventare una favola. Eravamo alle prime traduzioni di quelle di Esopo/Fedro. Molti di noi si preoccuparono, chiesero spiegazioni, una traccia, per timore di perdersi in quel largo improvviso. Bisognava inventare una storia di animali. La licenza improvvisa mi pizzicava il cranio. Scrissi a filo continuo, stringendo la penna fino a indolenzire le dita, unica parte allenata di un corpo ancora mollusco. Scrissi in discesa, la pendenza del banco si inclinava verso di me con mandrie in corsa e nuvole di polvere. Le bestie amano alzarla, disturbare gli insetti che le assediano. La polvere da noi viene scacciata via ogni mattino, lì saliva al cielo spinta dal tamburo degli zoccoli. La polvere era l’anima del mondo.
Scrivevo e i pensieri scalpitavano per uscire e correre anche loro. Fu un precipizio di scrittura, ebbi il tempo, anche di farne una copia da portare a casa. Consegnai tra i primi. Di solito mi liberavo tardi, in cerca di prolunghe per arrivare alla misura minima assegnata.
A casa feci ascoltare il tema. Si sorpresero del mio slancio più che dello scritto. Avevo saputo quel giorno la notizia certa che la scrittura era campo aperto, via d’uscita. Poteva farmi correre dove non c’era un metro per i piedi, mi scaraventava al largo standomene schiacciato sopra un foglio. Sono uno che si e messo a scrivere, da quel giorno, per forzare le chiusure intorno. Cedevano, mi lasciavano andare finchè duravo a scrivere.
Tornò giorni dopo il professore coi compiti corretti, con il voto. Insufficiente il mio perché evidentemente, sfuggendo al suo controllo, avevo copiato da qualche prontuario di temi svolti.
Un’insolita liberazione di linguaggio e un abuso di fantasia mi accusavano. A indizio c’era che avevo consegnato presto uno svolgimento di lunghezza addirittura superiore.
Non fu uno schiaffo in faccia, piuttosto un colpo alla bocca dello stomaco, sferrato a freddo. L’accusa mi provocò la ribellione di tacere. Non replicai. Sperimentavo per la prima volta l’incompetenza dei poteri costituiti. Avevano bisogno di spazi stretti, il campo aperto li spiazzava. Da quel tema libero era scappata fuori un’ora d’aria e andava ridotta all’ordine. Quei poteri avevano bisogno di spazi rinchiusi, di corpi anchilosati per imporre la loro versione del sapere. Già spiaceva loro che si arrivasse in aula un po’ accaldati dopo la rara ora di educazione fisica. In quel punto di attrito tra la mia verità e la loro si formò nel mio corpo una noce di resistenza opposta al dominio, che per istinto abusa. Oggi so che i poteri con le loro false accuse possono rendere il più grande onore a uno che scrive. Fare della scrittura un corpo di reato che disturba la loro disciplina. Solo i poteri riescono, insultando, ad aggiungere valore a una scrittura. Oggi conosco l’inconsistenza delle autorità, delle gerarchie ufficiali. A quel tempo invece erano integre e indiscutibili. Dal torto di quel giorno spiccò la crepa, la lesione che le demolì dentro di me col tempo. In quel punto di affondo nello stomaco il mio scheletro reagì.
Chiesi con insistenza e ottenni i primi pantaloni lunghi.
Eppure nel mio caso non è stato così: niente rigidità istituzionale, di fronte alla mia frenesia di scrittore in erba. Era ancora prima dei tempi di Erri, i professori alla consegna dei compiti leggevano alla classe il mio, lasciandomi con un misto di imbarazzo e di trionfo, e rendendomi ogni volta sempre più libero di scatenare la fantasia e l’audacia espositiva. Forse erano luminose eccezioni, ma ne posso citare e ricordare ben tre. Grazie Bellodi, Bianconi e Corrias.
Sono capitato qui perchè cercavo notizie della salute di Erri.
La cosa triste e’che ancora oggi le nostre ore d’aria si sono ridotte sempre di piu’, fino a diventare minuti forse secondi. Forse, qualcuno, spera di farci mancare del tutto l’ossigeno.
Baci
Sento male in pancia, dove il respiro si ferma a meta’ , vedendo le ferite inflitte al bambino e all’uomo ancora come allora.
’insolita liberazione di linguaggio e abuso di fantasia”: dio…che meraviglia! Uniche possibilità di liberazione: il linguaggio libero è il linguaggio del pensiero, l’abuso di fantasia il grimaldello per forzare possibilità sconoscite. Se non ora…quando?
Queste parole di Erri De Luca mi fanno ricordare i miei professori al liceo, quella di filosofia che ‘spiegava’ leggendo parola per parola dal libro di testo, il prof. di storia dell’arte-giovane, bello, ma sempre incazzato- che arrivava in classe ancora coi postumi dell’alcool, quello di latino e greco – antesignano dei ‘test’ – che ci faceva gareggiare a individuare e localizzare frammenti di Erodoto o Lucrezio senza spiegarci il senso di parole né i contesti storici…Quasi tutti (si salvavano le prof. di educazione fisica ) senza trasmettere emozioni né stimolare motivazioni.Il Greco e il Latino lingue morte, si diceva- e si dice – Quasi quasi me ne stavo convincendo anch’io…E morte lo erano davvero, perché “morti” erano loro, i ‘professori’.Sarei diventata una somara se solo non ci fosse stato mio padre a darmi il senso della cultura.Ma il padre rappresenta l’autorità anche quando dice cose giuste.E a volte mal sopportavo le imposizioni e quel suo pretendere il massimo.Ho dovuto negare e ricucire, sfrondare rami secchi prima di trovare il mio metodo( che continuo a ricercare).Ho scelto di fare l’insegnante perché nonostante tutto lì riconoscevo il ‘mio’ mondo e mi illudevo che il mio apprendere avrei potuto trasmetterlo ma in maniera diversa, per uscire io stessa da quegli “spazi chiusi”, da quei “corpi anchilosati” coinvolgendo i miei alunni in questa “lotta di liberazione”.Con qualcuno ci sono riuscita (una minoranza, come al solito), per niente, con i colleghi o capi di Istituto(con qualche piccola eccezione).Insegnante di inglese, andavo al di là di monarchie costituzionali o stereotipati dialoghi dai libri di testo.E così mi avventuravo in viaggi inesplorati e la cultura anglosassone diventava quella degli Stati Uniti, e la lingua inglese diventava anche “anglicismi”,neocolonialismo culturale e potere.Refrattaria al fenomeno Halloween, non credo di averlo mai affrontato(se non per soddisfare le curiosità dei ragazzi con brevi informazioni).In performance elaborate e attuate alla fine dell’anno( senza programmazioni di ‘piani quinquennali’ ma solo dopo verifiche di reali motivazioni da parte degli alunni),c’erano tutti i miei ‘gusti’, il mio piacere,le mie emozioni, le mie scoperte, la mia voglia di apprendere, studiare, inventare.Vi trovavano spazio altre lingue(testi di canzoni e poesie), gli U2 e Luis Peralta, Tracy Chapman e Prévert, G.Orwell, Beat generation e Daniele Sepe e Tacito…Emozioni che i ragazzi sentivano e mi restituivano con le loro, arricchite dei loro gusti della contemporaneità, i Luna pop e Eminem e Shakira. E per loro e con loro ho imparato a fare collage e cut-up, riscoprendo nuove abilità.Uno scambio reale ma limitato perché relegato e ghettizzato (destino delle minoranze).Se solo “i poteri costituiti se ne fossero accorti! Se solo mi avessero lasciato almeno in pace! All’esame andavo con i miei collage e da lì partivo.Attraverso mosaici di parole, colori, idee cercando di mettere in atto quella a cui nelle nostre ‘belle programmazioni’ tutti avremmo dovuto attenerci, la “interdisciplinarietà”, la “multiculturalità”…Se solo ne avessero capito il senso…i risultati sarebbero stati migliori.Mi accusavano di ‘fare troppo, di ‘sconfinare’, di non amare l’inglese- solo perché avevo introdotto altre lingue-.L’insegnante di francese mi accusò, durante gli esami, di invadere il suo campo perché nel collage sul razzismo in USA avevo introdotto alcune tematiche (certo a lei sconosciute), sul tema dello ‘sbiancamento’ della pelle nera,(orgoglio nero rimosso),e, cosa per lei inaccettabile, addirittura in lingua francese…’Pensa all’inglese’ mi disse…E subito andò a fare la spia dal ‘capo’ per ottenere un rimprovero da parte sua nei miei confronti e ‘cogliermi nel sacco’, per obbligarmi a giustificare una giudizio sulla camicia di esame che motivava un “sufficiente” con la dicitura di “abbastanza” senza conoscere il vero significato del termine (entrambi erano convinti che fosse più adatto a un ‘distinto’, o addirittura a un ‘ottimo’…)Non demordevo, mi facevo rispettare, e quella volta gli misi sotto al naso la spiegazione della parola(un foglio strappato con rammarico dal vocabolario).Vedessi le loro facce.La loro ignoranza e la cattiveria erano state messe all’angolo…(quanti altri episodi si potrebbero raccontare, ma ne verrebbe un romanzo…) Quanta fatica, però.E’ per questo che non mi manca l’insegnamento.E’ per questo che l’ho lasciato( appena in tempo, prima che le nuove leggi allontanassero l’obiettivo del pensionamento, ringraziando quei tre anni in più e qualche altro periodo di lavori al di fuori della scuola).Mi accorgo ora di quanto sia lungo questo commento( speriamo che non venga messo ‘in attesa di moderazione’ ).E’ tutta colpa di Erri De Luca che con le sue belle riflessioni ha allargato- forse troppo? -il campo d’azione del mio cervello…Grazie a te, Erri.
Eccome se mi piace, la crepa, la prima crepa inesorabile lì, in un luogo dove si dovrebbe erigere e non distruggere.