Joseph Conrad in uno dei suoi insondabili racconti, “Il Secondo Nero”, abborda il tema del segreto. Ognuno ha questa esperienza, ne contiene e forse ne ha anche versati al di fuori.
Si avviano nelle prime età: ”Sai tenere un…?”, “Posso dirti un…?”. S’impara presto il disinganno di vederli traditi, divulgati.
Da adulti ce n’è di inconfessabili e di estorti. Ce n’è di pubblici, quelli di Stato, che nella nostra storia hanno lasciato impuniti molti crimini.
La tenuta stagna di un segreto consiste nel solo accorgimento del silenzio. Per mia costituzione meridionale sono intransitivo, un vicolo cieco del segreto. Mi aiuta l’indole taciturna, non solubile in alcol. Ho saputo presto che è coinvolta la reputazione. Chi non sa custodire è inaffidabile.
Da ragazzo udii per sbaglio un segreto di famiglia. I miei non si accorsero che avevo sentito. Era d’estate e le cicale non bastarono a coprire le loro voci basse da una stanza all’altra. Da allora associo il segreto all’apparato di sfregamento che produce il canto. Ero in età di intendere gravità e consistenza.
Sta ancora là, inservibile, ormai insignificante, ingiallito come un capo di corredo mai usato. Da scrittore potrei inserirlo in una narrazione, cui è concesso di mescolare una realtà all’invenzione. Potrei, ma urto con la mia costituzione. È ormai incistato in qualche organo interno.
Oggi si sta in un ambiente intercettabile e un semplice apparecchio elettronico registra e spia anche da spento voci e spostamenti. È più difficile proteggere un segreto. Esiste un diritto alla riservatezza, ma mi è indifferente. Non mi disturba essere spiato. Chi si da questo compito con me perde, come si dice a Napoli, il tempo e la serenata.
Nel racconto di Conrad il capitano Johns dice: ”Qui c’è qualche mistero”. Non c’era. Lo sostituiva un accurato segreto.
Caro Poeta, come sempre riesci a essere quell’onda di risacca che smuove forte il sedimento che di solito sta là a non spostarsi più di tanto assieme all’agitazione comune. Il segreto del meridionale… be’ ti devo informare di una cosa, ogni meridionale italiano ha il proprio modo di contenere i segreti. Si vede che a voi napoletani viene meglio trattenerlo, ma ai pugliesi a quanto pare proprio no, e forse anche per calabresi, siciliani, sardi il tempo di intrattenimento della parola proibita tra le labbra ha un ticchettio diverso. A casa mia i segreti duravano il tempo di uno starnuto. Sotto le tavole delle grandi chiacchierate giravamo noi, i bambini, esseri molesti utili solo ad andare a comprare di corsa ingredienti utili al pranzo di festa prima che i mercati chiudessero, o nei retro dei negozi già chiusi da un pezzo e bussando forte ai portoni. Attorno alle tavole di zii e cugini si parlava di famiglie e parenti, volavano stracci e insulti agli assenti, del cugino che si drogava, di quella che era rimasta incinta e si doveva sposare di gran carriera, del cognato che faceva il furbo e segnava le ore di lavoro degli altri sul proprio conto, della zia che aveva cambiato religione. A fine pasto e di gran carriera, accortisi che tra i commensali c’eravamo anche noi a gironzolare sopra e sotto il tavolo, qualche adulto a vino ammezzato (di solito mia nonna) tentava l’imposizione del silenzio: “Mogghiaddì, nan av assì nudd da ddò!” (Tento la traduzione) ‘Voglia Iddio che da qui non esca nulla’. Imposizioni inutili, perché tanta era la famiglia, tanto tutti erano già al corrente di ogni pilo dal telefono senza fili della chiacchiera famigliare ( l’opzione ‘you & me’ poteva fallire da noi). La parola ‘segreto’ fa scappare da ridere, anche da voi a Napoli (senza disturbare Conrad) c’è il ‘segreto di Pulcinella’, una notiziola che tutti sanno ma che tutti devono far finta di non sapere per pudore, che poi è educazione. Non ho rapporti con questa parola, per mia natura ho difficoltà a trattenere memorie inutili (tu invece ne sopporti molta, una dote), quindi mi escludo dal peso di dover ricordare di non dire: non mi ricordo proprio, e bello che finito. Ma un’idea ce l’ho: Il segreto è una vergogna di altri da custodire, un compito serio per chi lo comprende. Le vergogne tuttavia strozzano, è giusto dopo qualche tempo sciogliere i nodi e liberare la leggerezza che il tempo concede loro, e che il “Mogghiaddì” non venga preso mai così seriamente. Le vergogne come i segreti vanno lasciati evaporare, o farsi rotolare e ridimensionare dalle risacche dei ricordi per concedersi un po’ di perdono, per non diventare i facchini della nostra coscienza. Ciao Poeta <3 mi manchi tantissimo. ( Eppoi, io quel segreto mo' lo voglio sapere… 😀 ) Kisses Bibi
Il segreto si riversa sull’altro da sé, quel secondo, quel doppio che ha la “funzione” di vestire la sua ombra per ristabilire un equilibrio. Si dice anche che nasconda una spaccatura alla radice. Della parola fiducia, quella che serve per superare la prova, liturgia di un rito di passaggio. In sogno, però, lo spirito e la natura se la giocano sull’equilibrio e il fiuto. È così che nasce un fiore.
(Non credo nei segreti.)