È l’epoca dei massimi naufragi del Mediterraneo, degli annegati in massa. Senza bisogno di tempesta si spargono sui fondali e i loro nomi non hanno rilievo. Per loro il mare è una fossa comune. A quest’epoca si addice la frase che ho trovato in un breve racconto letto di recente.
“Uno di quei momenti in cui morire aveva smesso di essere un fatto personale” (Il sacrificio del fuoco, Albrecht Goes, La Giuntina editore).
Nel Mediterraneo succede così, annegare ha smesso di essere un fatto personale.
All’opposto un giovane africano, venuto dal delta del fiume Gambia, ha scelto di morire annegato da solo. Partito da Milano é arrivato a Venezia e si è buttato in acqua dentro il Canal Grande, in pieno giorno.
È annegato. Numerosi presenti sono rimasti spettatori. Non si può chiedere a nessuno di tuffarsi in inverno con i panni addosso, in acqua fredda, a rischio della vita e con scarsa possibilità di essere utile. Forse un atleta della pallanuoto avrebbe potuto, ma senza certezza.
Non approfondisco la cronaca. A portata di mano, da riva o da un battello, pare abbiano gettato un salvagente. Sono attrezzati per questo, per i numerosi turisti che cadono in acqua per sbaglio.
Il giovane africano pare non abbia raccolto il salvagente. Una veloce ipotermia gli ha forse impedito reazione e lucidità.
Questa pagina non è una predica. Non so se mi sarei buttato. Questa pagina tenta il minimo risarcimento di conservare il nome di un annegato solitario del Mediterraneo: Pateh Sabally, di anni ventidue.
È un’epoca che deve indire giorni di memoria per conservare un ricordo. Non sono sicuro di appartenervi. Scrivo sul quaderno e poi su questo schermo il nome di un giovane uomo che ha voluto fare, del molto comune annegamento, un fatto personale: Pateh Sabally.
Erri De Luca
Ancora un po’tratteniamo il suo nome,
Pateh Sabally,non sciupiamolo troppo
velocemente pensando che la vita poi
scorre in ogni caso,lui che ha voluto
essere pietra d’inciampo tra i tanti volti
Di una fredda giornata di gennaio.
Noi nelle nostre case al caldo,noi con
i nostri cuori tiepidi….aveva solo ventidue anni
Quando la coscienza individuale è scarsa diviene irrisoria la coscienza politica.
Tra slogan di felicità e benessere detestiamo la morte e l’imbruttimento della carne e pure c’è chi non riesce a sedare l’angoscia del vuoto.
Nel desiderio di affermare la vita seguiamo una direzione di percorrenza con l’intento di dare un senso alla nostra esistenza, ma il senso della vita sta al di fuori di noi.
Crescono tulipani sulle rotaie del treno: lo fa la vita.
Allorché ci ammaliamo il nostro corpo crea anticorpi e ciò indipendentemente dalla nostra volontà: lo fa il corpo, lo fa la vita.
La vita vuole vivere, non dipende da noi.
Consapevoli della sofferenza della vita dovremmo riuscire a plasmarla, non cadere nella disperazione ma cadere innamorati della sua eternità.
Ancora rimane possibile credere nella risurrezione.
Ura
Grazie Erri per il “Pasto Sospeso”, quel pasto a base di cereali, legumi, verdure e sorrisi, che sfama migranti e persone che vivono in condizioni di disagio. Bello riprendere l’antica usanza napoletana del caffè sospeso e darle, oggi, un senso più pieno e più compiuto.
Grazie per quelle parole: “non la tolleranza, ma la fratellanza, direttamente”.
Grazie per questo tuo modo di guardare diritto, di non distogliere mai lo sguardo.
Forse ,Valeria,Pateh non vedendo intorno
Un volto a lui caro,azzardo,ha voluto con
L’ultimo volo nelle acque del Canal Grande
Raggiungere la grande acqua,Il gran mare
Dell’ essere dove altri come lui aspettano ,
In un sonno profondo,Il risveglio
Lascia che sia fiorito Signore il suo sentiero
DE ANDRÈ
Credo che la Persona, quando non sia ricollegabile alla sua Umanità,
Possa dormire tranquilla
Su un fatto solo:
Il suo Nome, di Persona, sarebbe
un Nulla svuotato di Exsistenza.
Bisognerebbe aver viaggiato tanto,
tanto in Lungo
in quanto in Largo vi è già andato.
Per questo non credo che sia stato un volo di libertà, quello di Pateh; per questo non credo che sia stata di Pateh la scelta di gettarsi in acqua.
“… credi al grano, alla terra, al mare. Ma prima di tutto credi all’uomo.” (Hikmet)
Non credo nella scelta della morte come unica madrina possibile a testimoniare un battesimo di dignità.
Sai tesò, sono stufa dei giorni di memoria dedicati alle catastrofi. Per dovere dobbiamo ricordare lo schifo umano, per non causarne altro. Perché di questo siamo capaci, di ripetere gesti atroci con la facilità e la pretesa della novità storica. Una memoria a convenienza.
L’ho vista l’immagine di Pateh… che bel ragazzo che era. Io non so cosa gli sia successo, se una delusione d’amore, se l’impossibilità di raggiungere dei cari rimasti al paese, se le difficoltà di vita, se il peso di esser stato il resto vivo di un naufragio…proprio come chi ritorna da una mattanza ed è presente solo per condizione. Anch’io come te non so come giudicare chi ha assistito… l’8 marzo dell’anno scorso ero in mezzo a quella laguna, tanto bella quanto orrenda per mare mosso e acqua fredda. Però mi sarei aspettata un tentativo.
C’è una domanda che mi batte nelle tempie però, e purtroppo non riesco a ricacciarla indietro: e se la persona in acqua non fosse stato ‘Africa’? Se fosse stato un bianco? O una donna? Ecco… vabbe’. Davanti alla morte di Pateh non ci sono più domande con risposte utili, lasciamo le risposte del menga alla miseria del se e del ma…
Pateh Sabally è il nome per tutti i nessuno affogati allora. Il grido di battesimo ‘Africa’ gridato dai canali è il nome di qualcuno che qui da noi, per qualche motivo, non ce l’ha fatta; e sembra tanto il tuo ‘Salvatoreeeee’ gridato dal molo Beverello. Un nome a cui non risponde più nessuno, che non sente più nessuno partendo per un viaggio lungo lungo…a parte la pietà di nostro Signore (e meno male che su quella memoria ci contano tutti).
🙁 TVB <3
grazie…
Il suo nome ormai-un balocco rotto-
Per Pateh Sabally comunque
Infine,non han più bisogno di noi quelli che presto la morte rapi’,
ci si divezza da ciò che è terreno ,soavemente,
come dal seno materno.
Così sia per lui ormai….
Richiama il discorso nel ‘Giorno prima della felicita’ ‘ della dualita’ popolo/persone. Pateh Sabally si e’ staccato dal popolo annegato, e si annega lo stesso.
Capire in tempo dove e in che modo vengono violati i diritti umani; questo per me è il senso del Giorno della Memoria. A noi non sarà chiesto conto della Shoah, ma dei muri che si alzano in Europa, dei rimpatri, dei respingimenti, dei campi profughi, dell’inerzia e dell’indifferenza di fronte alle tragedie del mare.
Grazie per questa riflessione. Da scolpire nel cuore, da ripetere ogni giorno ai nostri figli.
Rispondo con una frase di un’opera di Ennio, poeta latino vissuto tra il II e il I secolo a.C.:” io dissi e dirò sempre che esistono i numi del cielo, ma credo che essi siano noncuranti delle opere umane, perché altrimenti i buoni avrebbero il bene e i malvagi il male, e così non è. “. La disparità nel destino non ha giustificazione.
Pateh Sabally ripetiamolo una volta ancora anche se un po’ci disturba
Vorremmo dimenticare subito uno tra i tanti.
Lo faremo, lo faremo.
Ma in quel preciso punto le grandi braccia
del Canal Grande inevitabilmente,
nonostante noi,ce lo ricorderanno
ci ricorderanno un giovane di ventidue anni
che non era caro agli dei.
Né agli uomini
Parole che risarciscono perdute perdite e raccontano il sacrificio di Pateh Sabally
È commovente ma soprattutto tragico che a risarcire ci siano solamente le parole. Come per i naufragi di massa ci sono solo parole e poesie, quando ci sono.
Risarcimento scarso, prevenzione nulla.
Anzi… come prevenzione si progettano i muri.