Spuntano scuole di scrittura, rispondono alla domanda di imparare a esprimersi
versando in forma scritta il subbuglio di pensieri e desideri e forse l’ansia di un’ affermazione.
Molti giovani ai quali spetta per diritto il futuro, si trovano senza
avvenire, senza la previsione di un seguito. Cercano di accumulare competenze da
aggiungere al curriculum. La scrittura può essere un attestato in più.
Dal mio angolo stretto di esperienza raggranello qualche passaggio che mi ha avviato
alla scrittura. In principio i libri: uno che vuole scrivere deve avere passione di
lettura, anche selvaggia, senza guida, ma affamata. Deve credere che quello è il suo
tempo migliore, capace di isolarlo pure nel trambusto intorno. Poesia, teatro,
narrativa, saggi: in questo ordine di importanza per me è avvenuto l’ avviamento.
Oggi esistono biblioteche pubbliche dove rifornirsi. Senza questa premessa una
scuola di scrittura lotta contro vento.
A me è servito anche un accanimento per l’enigmistica. Le parole crociate mi hanno
precisato la lingua italiana. Le definizioni chiedono infatti per soluzione una parola
sola, unica esatta in mezzo alle altre simili e possibili. I cruciverba mi hanno
addestrato alla precisione. Poi i rebus, gli anagrammi, le crittografie, i palindromi
hanno fornito l’ abilità meccanica di montaggio e smontaggio delle parole. Mi sono
ritrovato nel tempo, senza saperlo prima, senza accorgermene, una capacità giocoliera
col vocabolario. L’enigmistica che allora mi sembrava un vizio solitario si è
trasformata in officina dell’ italiano
Poi mi hanno aiutato le altre lingue imparate. Aggiungere alfabeti, sillabari,
grammatiche, conoscere il sole in russo e in greco antico, tradurre una parola yiddish
in napoletano, questo ha dato alla pagina la proprietà di sponda e di carambola di un
tavolo di biliardo.
Infine per l’ italiano conta la provenienza da un dialetto, uno dei vivaci e
innumerevoli per sfumature delle nostre province. La nostra letteratura migliore è
stata e resta provinciale come stato di grazia. La Firenze di Pratolini, la Ferrara di
Bassani, la Torino della Ginzburg, la Sicilia di Sciascia e così via coi cento altri
esponenti dell’Italia rimasta dei Comuni. Serve in italiano il callo di
provenienza che ha battuto moneta locale e l’ ha poi convertita in lingua
seconda, di destinazione.
Infine conta lo stato di tensione durante la scrittura. Il più forte possibile lo
raccomanda un poeta del 1900, Avram Sutzkever che dal suo yiddish scrive:
“Vai sopra le parole come su un campo minato, un passo falso, un movimento
falso e tutte le parole che hai infilato per una vita intera nelle tue vene andranno
a disintegrarsi insieme a te.” Non è metafora: lui attraversò di notte un campo
minato già insanguinato da altri tentativi di fuga e a ogni passo sentiva al posto
del cuore un violino pizzicato da un chiodo.
Superlativo e magnifico testo. Racconta la mescola di una lingua ricca, vivace e intelligente azionata dall’abile e allenato giocoliere Erri De Luca, che non promette ascetiche altezze, perché se lo stai leggendo sei già in vetta. Un primo della classe, che siede nel banco all’ultima fila perché da “pianoterra” vede e racconta meglio. Bravo Erri!