Mi capita di fare incontri pubblici intorno al 1968 di cinquant’anni fa.
Preciso in anticipo che non sono storico né obiettivo, ma un testimone di parte. La mia è la versione di uno che per una dozzina di anni, a partire dal 1968, ha camminato insieme ai molti nel mezzo delle strade.
Eravamo scesi dai marciapiede e dagli ordini costituiti, ingombravamo gli incroci, rendevamo inutili i semafori. Quando passavamo, erano fermi al rosso.
Alla definizione di anni di piombo oppongo quella di anni di piazze piene.
Al termine di uno di questi incontri si avvicina un uomo, circa della mia età. Dice che è stato uno dei nostri, a Roma, in Lotta Continua.
A Roma eravamo in migliaia, non ricordo facce né nomi e dopo mezzo secolo è impossibile. Gli sto per chiedere in che sezione di quartiere interveniva, quando aggiunge che era un informatore della polizia politica, un infiltrato.
È ragionevole che ce ne fossero, eravamo in molti e non facevamo indagini sulle identità. I nuovi arrivavano portati da chi già stava con noi da prima.
Per documento ci bastava l’impegno dimostrato sul campo.
L’importante era che al livello più ristretto di decisioni da prendere, ci conoscessimo alla perfezione.
A livello di base eravamo aperti.
L’uomo che mi sta parlando ha deciso di volersi aprire. La mia versione di quegli anni lo ha coinvolto, ricordandogli forse degli stati emotivi difficili.
È sobrio, calmo, non si sta confessando per essere assolto. Vuole essere sincero con me.
Sapeva a quel tempo di rischiare molto, da nemico interno.
Avrà contribuito al mio fascicolo presso la Questura, avevo degli incarichi di responsabilità.
Non gli ho chiesto dettagli, neanche il nome.
Ora mi tocca dire come ho reagito. Non è stata una scelta, ma un moto spontaneo. Gli ho sorriso, gli ho dato una pacca sulla spalla dicendogli addio. Cinquant’anni dopo per me non esistono i nemici.
Chi mi detesta oggi con quel sentimento, per qualche motivo politico, non potrà essere ricambiato. I nemici per me sono specie estinta.
In questi rinnovati giorni di sentimenti avversi, di Italiani in urto, uni contro altri, mi schiero in piena convinzione ma a bassa temperatura.
La strofa di una canzone di Sergio Endrigo era :” Chi non ha più nemici, non ha pietà”. Se è vero, non ne ho.
Caro Erri come sai aiutare l’anima a sopportare questo momento buio, grazie perchè hai saputo andare oltre. E’ vero il tempo ci aiuta a filtrare il dolore e la gioia, imparare dalla storia sarebbe straordinario, speriamo che presto il buio lasci spazio alla luce, un abbraccio. Meri
E’ proprio vera una cosa:ognuno di noi parla dal Basso o dall’alto della sua esperienza.Non è possibile prescindere da questa.Sempre con un sorriso,possibilmente
[… ] Ma questa mia primitiva arte, ecco io abiuro, e dopo che le avrò chiesto una qualche musica celeste – come quella che ora invoco – al fine di conseguire quel ch’io m’intendo sui loro sensi, per i quali è inteso questo incantesimo fatto d’aria, spezzerò la mia bacchetta, la seppellirò alquanto tese sotto terra, e getterò in mare il mio libro così che scenda molto più a fondo di quanto mai sia sceso uno scandaglio. […]
(Prospero nella prima scena del quinto atto ne “La tempesta” di Shakespeare)
Ma nessuno esce di scena a meno che non sia soccorso da una preghiera che commuova la stessa pietà a rendergli la libertà…
mi viene in mente una poesia di Arminio, che somiglia a una preghiera:
“essere vivi
è una sintesi di tutte le morti.
siamo l’eredità di uno che ha baciato
di uno che ha alzato un braccio
di uno che ha sorriso.
in una stretta di mano
si rifanno vive
tante piccole creature
dimenticate.”
Ecco. Mi manca la stretta di mano di Erri De Luca.
Shakespeare per bocca di un re affermava: la maturità è tutto. Per anni ho creduto fosse un pensiero di Pavese, per via di una poesia. Del disamore. Quindi disamore e maturità. Illusioni che perdono temperatura.
Hannah Arendt scrisse: “Anche nei tempi più bui abbiamo diritto di attenderci una qualche illuminazione”.
E Fabrizio De Andrè così cantava:
“Io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore”.
Grazie Erri.
Dopo cinquanta anni…….ma sì hai ragione tu,in fondo anche il tuo sorriso è un frutto tardivo e prezioso del 68,a pensarci bene.
Uno dei tanti di quella che è stata,soprattutto,una stagione di-educazione sentimentale- in cui la generazione che ha preso la parola,
si è posta a modo suo,la domanda-chi è il mio prossimo-Decido in questo momento di sorridere anch’io agli -infiltrati- della mia vita e di
non pensarci più.Nel tempo del rancore lo considero un piccolo gesto beneaugurante,comunque.
Caro Erri, con il passare dell’età si passa ad altro ben più importante, il passato rimane sotto traccia e la maturità e l’esperienza ci porta altrove. Grazie del racconto
E’ veramente difficile per chi non c’era, capire la temperatura di quegli anni… e neanche sentendo parlare i protagonisti di quel periodo è possibile entrare in quel contesto ( e sì che ho fatto di tutto per leggere in qualche modo una o due verità di quella realtà accidentale 🙂 ) . Però è proprio nella tua reazione, quella pacca sulla spalla a un vecchio nemico , casuale come il caso voleva in quei tempi, che si può interpretar qualcosa. Sì, il ’68 c’è stato, è durato più del previsto… poi è finito. Capirlo , non capirlo del tutto, non ha importanza. Raccontarlo invece sì, perché se quando qualcuno che ha partecipato alla rivoluzione culturale dell’epoca ha quella luce che ho visto negli occhi di un poeta, allora sì.E’ testimonianza, o fonte orale pure senza parole. Ed è l’unico aspetto della Storia che interessa a una come me, affamata del sentimento che questa produce. Che cos’è in fondo la Storia, se non il cumulo dei nostri sentimenti? Ciao Poeta <3 <3 <3
Carta-carta
viene in mente Sofri e sì……si sorride di meno.Sorriso amaro
Comme nous vous aimons M. Erri..
Pensando a come le persone siano strumentalizzate e manipolate da sempre, forse si riesce a non provare rancore e non considerarle nemiche. Ma questa forse è una forma di pietà?
Inoltre si può essere sereni per le proprie scelte del passato, per la propria vita.
Forse quel signore non lo era…
Cari saluti Erri!
” …né cardi né ortiche coltivo.
Coltivo una rosa bianca.”
Infaticabile Erri!
Un anno musicale ,alla scoperta di mondi.L’Africa era lontana ora è più vicina.La compassione a volte mi divora,quando mi divora del tutto, non ho più nemici.
Vorrei tanto arrivare alla tua serenità. Ma per il momento stanno facendo di me una razzista al contrario italiani ed Anglo-Americani. Clara Giovanetti