La Sainte Victoire è una montagna della Provenza alta poco più di mille metri. La sua sagoma incombe in 44 dipinti a olio su tela e in 43 acquerelli sopra il cavalletto del pittore Paul Cézanne. Nacque nei suoi paraggi e ne fu affascinato per la vita intera.
Non risulta che volle salirla. Intuì che gli sarebbe sfuggita. Una montagna è tale da lontano. Più ci si avvicina e più scompare. Infine sulla cima sparisce sotto i piedi e non ne resta niente.
A Napoli il Vesuvio si solleva sul golfo appena un po’ di più della Sainte Victoire. La sua forma scomposta da eruzioni è stata ritratta innumerevoli volte, però mai nelle tante ripetizioni di un solo pittore. Perciò Cézanne è il più accanito ammiratore di un paesaggio soltanto.
In una lettera a suo figlio scrive: ”Penso che potrei trascorrere dei mesi a lavorare sempre nel medesimo luogo, limitandomi a spostare il cavalletto di pochi centimetri a destra o a sinistra”.
Decise di informarsi sulla geologia per comprendere la natura di quell’architettura di calcare. Riconobbe una geometria alla base della bellezza naturale. Cercò di riprodurla anche nei volti.
Dipinse la sua montagna al sole, all’ombra e sotto la pioggia, che resta sotto forma di grigio chiaro intriso nella superficie delle cose.
Fatti per essere tenuti in casa, i dipinti della Sainte Victoire fanno irrompere l’aria aperta e piena. Plein air la definisce la lingua francese, per la quale l’aria è di genere maschile.
Penso con affetto a una persona che si è dedicata intensamente all’ammirazione, punto di vista che prescrive la distanza, non l’avvicinamento.
Dante ammira Beatrice in disparte e di nascosto. Vuole dire di lei cose che per nessuna donna furono dette prima. Ci riuscì da lontano.
Cézanne fece lo stesso per la sua Sainte Victoire. La rappresentò per condividerla, che è una delle forme della gratitudine alla vita.
La Sainte Victoire è un grazie al mondo fatto coi colori.
Che bello sentirti parlare di arte e di montagne npn da scalare
Poi c’è questa che conservo e non so più di chi sia, forse mia o nostra, il che è più probabile…
COSA RESTA…
…Resta il giorno della partenza appeso alla parete:
all’unica parete rimasta in piedi contro il vento,
la parete dei ricordi.
Ricordi silenziosi,
fango lento che travolge,
come speranze nascoste
mai condivise.
…Resta la parte migliore: niente!
Niente da sacrificare:
Tutto che assomigli
al disegno di un sole appeso all’orizzonte
inciso sulla sabbia
e regalato da una bambina al suo mondo
…Resta il giorno del ritorno:
perchè il sole non sa morire!
Penso a quanto si debba sentire sola la montagna. Eppure quella immagine animica ha il suo scopo e gli effetti si possono riscontrare in chi la ama.
La montagna come un lago, un fiume, il mare, quell’angolo remoto della terra che suscita un dialogo, emozioni, ricordi sublimi… matematici…
La montagna come una donna, un uomo… Dopo Federico Fellini e la sua Giulietta, declinata per noi in tutti i tempi e i luoghi affini all’anima del grande regista, non potrò dimenticare l’inglesina perduta che ha… animato… e ispirato l’infanzia – e oltre – della vita di un mio amico, fino all’avvento dell’era di internet quando ha potuto ricontattare la sua musa. Hanno convissuto due anni, di cui l’ultimo all’inferno. Gli ho rimproverato un immagininicidio, un animicidio che, in tempi di aridità interiore, avrebbe potuto risparmiarsi. Gli avrei dato l’ergastolo, mi ha risposto che “si deve pur sopravvivere”. “Mah”, cito me stessa, e poi vado a spolverare la riflessione che Umberto Eco dedica all’immaginario massmediatico.
Tra riflessione e ammirazione “cade l’Ombra!”: che il reale sia immaginario è quello che adesso vogliono farci credere, dopo averci convinto che l’immaginario sia reale.
Non vado fuori tema, vero?, se con Eco affermo che i nuovi fruitori di immagini sono confusi “[…] dal fatto che un protagonista [di quell’immaginario] entri di colpo nella vita reale, ma al tempo stesso si comportano di fronte al personaggio reale come se appartenesse ancora all’immaginario, come se fosse su uno schermo, o in fotografia su un rotocalco, e loro parlassero in sua assenza.[…] ” E’ quello che accade ad ognuno di noi in cima ad una montagna: ” sulla cima sparisce sotto i piedi e non ne resta niente.
“Sino a che, come volevano alcuni filosofi, penseremo di essere soli al mondo, e che tutto il resto sia il film che Dio o un genio maligno ci proietta davanti agli occhi.”: ti fa Eco…
P.S. Giuro che, se dovessi incontrarti di persona, non ti chiederò un autografo o un selfie. Ti chiederò di parlarmi “di quella umanità esordiente, poeti dimentichi di ogni provenienza, figli di un annoi zero, come accade ai dispersi di Babele che inventarono lingue all’ombra di una torre”.
Splendono le tue ingormszioni
Ho visto i cento quadri riprodotti da Cezanne di quella montagna, e poi la foto del paesino. Capisco perché vi fosse affezionato, è carino. Però, che colori tristi che usava… un po’ scuri anche sulle nature morte. Vabbe’, della sua parte italiana era rimasto poco. Non so se mi piace , ci devo pensare. Certe pitture bisogna cercarle nei colori apparentemente scomposti, come le rime alla rinfusa di certi poeti del Novecento. Voglio pensare che il luogo sia legato a un sentimento importante… magari senza volerlo, e senza dirlo a nessuno, il vero soggetto non era la montagna, ma la finestra di una donna amata forse mai avuta, che nei suoi colori chiama e richiama il nome. Che dici? Non è meglio così? 😀 Ciao Poeta
È sempre un’ampia e ricca leçon quando Erri De Luca dice sull’arte. Contrariamente a Cezanne, Erri ci fa vedere con le parole il visibile – che non vediamo – Cezanne invece prova a mostrarci l’invisibile.