Quando costruivo la casa tra i campi, un autunno di quasi cinquant’anni fa, pensavo che così nascono i villaggi, da un primo tetto.
Poi si aggregano altre abitazioni, una fontana pubblica, un emporio, un posto di preghiera, un’osteria.
Mettemmo le finestre in primavera, non l’abitai, partito per la città del nord. Dimenticai. Mi succede passando da una stanchezza a un’altra.
Intorno alla casa sono rimasti i campi, non ho fondato niente. Ho solo abitato anni dopo al piano della terra.
Questo pensiero mi visita in autunno, ognuno dei quali è diverso dagli altri.
In questo gli ulivi sono scarsi di olive, il melograno invece offre i suoi primi frutti.
In questo autunno la tracotanza dei potenti in giro per il mondo è più gaglioffa.
Mi consola sapere che i suoi esponenti attuali decadranno con più rapido oblio.
Si credono perpetui e sono stagionali.
L’autunno è la stagione per saperlo dopo le fiammate estive e il fumo negli occhi.
La pioggia sulle tegole, sui vetri mi dimostra il privilegio di starmene all’asciutto in un riparo.
Un verso di Rilke mi ricorda: “Chi non ha casa adesso, non l’avrà”.





[…]”Potessi essere vecchio, impugnare un rastrello,
ripulire il viale, riparare il tetto,
mettere nel cesto le patate. Essere vecchio, per dire al nipote che una volta c’era
un giovane che in una notte chiese la fine della guerra.” [ ..] (Da “Cosa ci faccio qui?” Dal blog 12/04/22)
Anche le primavere sono diverse… Ognuna diversa. Come una preghiera. Questa bellissima.