Il sentiero sale e dietro i primi alberi ogni suono di valle si attutisce fino a scomparire. Li sovrasta il calpestio dei passi sulle foglie cadute, il respiro che avvia la sua macchina a vapore.
Ai due compari che mi precedono, la salita mette nelle gambe un ritmo da bersaglieri, a me impone il passo pensoso dei ruminanti. Senza rallentare l’andatura mi presento il bosco che sto salendo. Al suolo bado a non schiacciare le piccole bacche rosse del sorbo dell’uccellatore, ai lati del sentiero si spogliano i fitti noccioli, i carpini robusti, i frassini che ancheggiano nel tronco. Più in alto i castagni hanno già deposto in terra i gusci levigati e i faggi si scrollano le foglie tondeggianti. Il fiato si riempie dei loro profumi macerati in terra.
Il giorno prima eravamo più in alto, dove gli alberi smettono e resiste nell’erba qualche fiore ostinato. Un gruppo di camosci sul versante in ombra si accorgeva in ritardo del nostro passaggio. È periodo di loro accoppiamenti e delle risse che decidono a chi spetta l’onore. Una piccola vipera, tardiva per i duemila metri, assorbiva calore su una pietra.
Il bosco è più intimo ambiente, ripido ma raccolto. La montagna è piazza aperta sotto il cielo, il bosco è museo, si va di sala in sala, da penombra a penombra, diverse per tipo di rami a copertura.
In una radura i resti di un vecchio mulino rammentano l’opera di comunità ingegnose che trasformavano lo scroscio di un torrente in forza motrice per la macina. La costruzione è avvolta dalla vegetazione che la riassorbe in se. Le opere decadono, resta la memoria della loro necessità.
Nel bosco si dimenticano le notizie del fondovalle, il succedersi dei presidenti, delle guerre, delle epidemie. Nel bosco le cronache sono i fulmini, gli incendi, le tempeste di vento, le valanghe, gli inverni. Lasciano un segno nei cerchi del tronco.
In discesa si sente il taglialegna che fa le ultime scorte.
Ognuno dovrebbe salire in un bosco d’autunno, compiere un giro di pellegrinaggio alle sorgenti dell’ossigeno. Non sono credente nell’alto dei cieli, credo alle stagioni della terra, unico esperimento della vita nella periferia della galassia. Credo al bosco che mi ha preceduto come un antenato e che proseguirà dopo di me.
Intanto lo attraverso e lo respiro.
Caro Erri, POTERE salire in un bosco d’autunno e respirarlo sarebbe un sogno, però a me come a tanti è negato farlo questo autunno e per quello la invidio ma senza risentimento. L’anno prossimo, spero! La saluto e la ringrazio. Sognare è lecito. un amico sconosciuto
Una BELLISSIMA pagina.
“Quando si è stati amati…” la Bella Gigogin torna a farci visita e riconnette il nostro pantheon con l’anima del mondo: trasforma, negoziando, i simboli in poesia; dà un senso, deviando il corso…
Caro Poeta, leggo le tue parole e sono già un passeggio nel fresco d’autunno, scaldato da foglie colorate che non mollano il sole ricevuto. Vivo in una città avara di saluti e lavoro, ma grazie a Dio ancora piena di alberi, i miei compagni di tante parole. Io e mia sorella ci divertiamo a sfotterci ogni anno, lei ama l’estate io l’autunno. Lei adora la canicola e la spiaggia, io la vista di colline di viti e di boschi ammantati di colori. S’incazza ogni volta che arriva la data del 21 settembre sul calendario, il giro di boa di un anno che ha finito di fatto la sua traversata; io invece festeggio, è cosa mia il morbido umido del terreno che riposa. Amo il verde in qualsiasi stagione, ma in autunno la tavolozza delle chiome fa sorridere anche chi in Dio non crede, ma per un attimo gli viene il dubbio. Gli alberi sono stati gran conforto in città soprattutto quest’anno, anche se ne ho potuto godere in modo alternato dalle restrizioni contingenti… ma va bene lo stesso. Ho imparato che loro ci aspettano, sanno quando passiamo e chi li ama e chi li ignora. “Nel bosco l’assemblea degli alberi decide ogni cosa. Ti hanno accolto, ora sei tra di loro benvenuta.” Ecco, quando vado a studiare sotto ai miei alberi preferiti penso alle tue parole 🙂 e sento che tutto è vero. PS: Se capiti a Torino l’anno prossimo, verso giugno, ti faccio fare il giro dei ‘miei’ amici; e ti porto con me vicino al ‘mio’ gelso nero che ti devo presentare, e ci abbuffiamo. TVB <3 il tuo tappo
Neanche io sono credente nell’alto dei cieli né so in cosa credo ma il bosco è come il mare e gli alberi sono le sue gocce: nasconde, protegge, riassume nell’uno la sua molteplicità . Non saprò mai chi mi succederà e so appena chi mi ha preceduto: vedo tutto da dentro di me ma nel bosco vedo me come un albero fra gli alberi
Io invece sono “credente nell’alto dei cieli” e come tale condivido quanto hai scritto, compresi i tuoi riferimenti alle stagioni, alla vita nella periferia della galassia e al bosco che è prima di te e sarà dopo di te. Non aggiungo alcun riferimento alle generazioni che mi hanno preceduto e che verranno dopo perchè credo sia un pensiero implicito in quanto scrivi e che quanto scrivi sia condizionato dell’ambiente, il bosco, che stai attraversando.