Il mondo deve alla Grecia l’innumerevole accaparramento di termini dal suo vocabolario. Dall’alfa all’omega il debito greco è quello di riconoscenza verso la sua lingua.
A lei si deve anche il vocabolo eresia, airesis, parola sfebbrata in origine, indicando una semplice scelta o, secondo Demostene, una disposizione di animo. I Greci onoravano le innumerevoli divinità e in Atene esisteva un altare dedicato al dio sconosciuto, non ancora identificato e meritevole comunque di culto e di offerte. Prendevano sul serio le religioni e condannarono Socrate, e assolsero Frine, in processi fondati su presunte offese alle divinità. Ma ignoravano il successivo crimine di eresia. L’aggravante religiosa spetta a Paolo di Tarso che la nomina nella sua Prima Lettera ai Corinzi. Spetta al Cristianesimo il surriscaldamento del termine.
L’argentino Borges scrisse una Storia Universale dell’Infamia, ma non dedicò nessun titolo all’eresia. Si dichiarò conservatore, aspirazione infantile a trattenere lo scorrere del tempo. Le eresie segnalano invece la sua irrequietezza, introducendo nel campo religioso la figura del martire. Pure questo è un termine greco slittato dal significato di testimone a quello di santo. La Chiesa Cristiana, incalzata nei suoi secoli da sciami scismatici, ha sviluppato l’antibiotico delle ortodossie.
L’ortodossia stabilisce tribunali, emette sentenze e scomuniche. La Chiesa ne ha pronunciate a valanga, l’Ebraismo l’ha imitata nel caso di Spinoza ma senza arrostimenti pubblici, l’Islam oggi raggiunge il parossismo di una guerra civile interna tra Sunniti e Sciti. Siamo nel tempo delle eresie dotate di esplosivo.
Il termine si è andato applicando impropriamente a settori diversi dal religioso. In politica, in economia, in arte, perfino nello sport si è intrufolata la banalizzazione dell’eretico, diventando sinonimo di innovatore e dissidente. Quando si preferisce la parola agitata, la vistosa, a quella esatta, è segno di debolezza.
In politica non si dà eresia, il marxismo non è una fede, solo un teoria dotata di prassi.
Per mia airesis, disposizione di animo, sono stato attirato dal dissenso, ho parteggiato per le minoranze. Studiando la Prima Internazionale davo ragione a Bakunin e non a Marx, anche per i suoi metodi. Nella guerra civile spagnola simpatizzavo per gli anarchici di Buenaventura Durruti. Nella militanza in Lotta Continua convivevano maoisti, stalinisti e trotzkisti, leninisti e spartachisti. Premessa di quell’azione politica era l’analisi del presente, l’immaginazione del futuro prossimo, niente divisioni sul passato, a ciascuno il suo.
Il Manifesto fu negli anni ’60 prima di tutto un buon titolo, richiamandosi a quello scritto da Marx e Engels, pubblicato a Londra nel 1848.
Poi fu una rivista mensile con un gomitolo di tesi in dissenso dalla linea del Partito Comunista Italiano, al quale appartenevano i suoi membri. Poi fu la critica all’invasione sovietica di Praga nell’agosto del ’68, seguita dall’espulsione dal Partito con l’accusa di frazionismo.
L’ortodossia è allergica alle più semplici operazioni aritmetiche: le divisioni, le frazioni vengono risentite come frantumazioni. Sono invece fertilizzanti, ma l’ortodossia lastrica una sola pista e non si dedica al giardinaggio. Quando Mao diffuse la politica dei Cento Fiori (1956/1957) incitando alla libertà di critica, fu poi costretto a ritirarla per eccesso di fioritura. Prima si diffamarono i fiori chiamandoli velenosi, poi si passò all’estirpazione.
Il dissenso de Il Manifesto non rientra nelle conseguenze micidiali delle eresie, ma dal punto di vista disciplinare appartiene agli scismi. L’espulsione dal Partito del gruppo di affiatati intellettuali non provocò una dispersione di esuli, ma un nuovo soggetto politico, dotato di piccola rappresentanza parlamentare. Si raccolse così un nuovo consenso intorno al giornale diventato quotidiano nel 1969, anno di inizio delle stragi di Stato, del tutto opposto a quello precedente.
Il Manifesto è il primo esempio di indipendenza dell’informazione di sinistra. Il Partito Comunista Italiano proseguirà con il respingimento e la diffamazione di ogni movimento esterno, secondo la consolidata pratica della Terza Internazionale. Ugualmente la sinistra antagonista si diffonde e si rafforza nella più vasta ondata di lotte sociali in un paese europeo. Dura per il decennio settanta il salutare esempio di critica sistematica del potere. Qualunque notizia ufficiale è accolta per falsa e da verificare. Anche le versioni storiche del recente passato sono soggette a revisione, dal brigantaggio meridionale alla patriottica celebrazione della Prima Guerra Mondiale.
Dilaga uno spirito di contraddizione applicato a ogni campo della vita civile. Anche il servizio di leva obbligatoria, l’esercito, è investito dal movimento interno dei proletari in divisa, dietro l’esempio della rivoluzione portoghese, la prima e unica incruenta.
Oggi insieme a Il Manifesto stenta la scintilla della critica. Prevale l’assuefazione alla contraffazione della realtà. Il giornalismo si censura da sé per via sottocutanea con un microchip collegato ai consigli di amministrazione, dai quali ricevere gli ordini di servizio.
L’eresia oggi spetta a un pontefice svaticanizzato, esule in casa propria. La lingua spagnola usa il suggestivo termine “desterrado”, privato di terra, per chi abita l’esilio. Così sta l’argentino Francesco alla stazione di Roma San Pietro.
Oggi il dissenso è inteso come un disturbo del comportamento e una maleducazione. L’ammutolimento della gioventù cerca una sua espressione nel tatuaggio, nell’eloquenza del corpo incorniciato. Crede così d’incidere l’indelebile segno dell’identità, invece è solo superficie lavabile che scolorirà con l’acqua ragia delle età seguenti.
Restano soltanto le parole e gli zingari a tenere in vita la vocazione all’eresia, premessa di ogni libertà. Occorre che torni a essere un istinto.
Erri De Luca
Foto Archivio Fondazione Erri De Luca
“Oggi il dissenso è inteso come un disturbo del comportamento e una maleducazione. L’ammutolimento della gioventù cerca una sua espressione nel tatuaggio ecc”
questo già basta a lavorarci sopra per settimane. è per questo che “allora” cioè in quel tempo, che è tempo passato e futuro, caro Erri, io intanto ti dico che stai, come d’autunno, sugli alberi le foglie
che’
stanno d’urgenza
in abituate stagioni
alla parola debitrici
quelle a questa e
questa a quelle.
A prendere un po’ di più, della tua breve storia dell’eresia
penso alla sintesi di un’epoca, all’incapacità dei filosofi di fare
di ponderata riflessione, verso dell’unico dicibile.
Passo al sistema: all’insieme di elementi coordinati tra loro in una unità funzionale. E qui mi fermo, diverrei illeggibile altrimenti.
Ho piacere e mi vien bene, ho voglia e mi sovviene, chiudere come se, invece, non si potesse scegliere di essere eretici.
La razza dominate ( di Fredrick Brown )
Vron e Dreena, gli unici due sopravvissuti della razza dei vampiri, fuggivano nella loro macchina del tempo, per sottrarsi all’annientamento totale. Si tenevano per mano, consolandosi l’un l’altro del terrore e della fame che provavano.
Nel ventiduesimo secolo l’umanità li aveva scoperti: gli uomini avevano dovuto rendersi conto che i vampiri vivevano veramente nascosti in mezzo a loro, che non si trattava di una leggenda, ma di un fatto incontestabile.
C’era stata una carneficina sistematica che aveva portato allo sterminio di tutti i vampiri, tranne questi due, che lavoravano già da un pezzo alla macchina del tempo e che la finirono appena in tempo per farla partire.
Verso un lontano futuro in cui la stessa parola vampiro fosse sconosciuta e dove potessero vivere indisturbati, insospettati e rigenerare la razza dai loro lombi.
«Ho fame, Vron, una fame terribile»
«Anch’io, povero tesoro. Fra poco ci fermeremo di nuovo.»
Si erano già fermati quattro volte e ogni volta erano sfuggiti di poco alla morte. I vampiri non erano stati dimenticati. L’ultima fermata, mezzo milione di anni avanti, li aveva sbarcati in un mondo abitato da cani: l’uomo era scomparso, e i cani si erano civilizzati, diventando simili all’uomo.
Tuttavia Vron e Dreena erano stati riconosciuti per quello che erano. Riuscirono a mangiare una sola volta grazie al sangue di una cagnetta calda e morbida, ma subito dopo furono costretti a fuggire sulla macchina del tempo e a riprendere il viaggio.
«Grazie per esserti fermato» disse Dreena, e sospirò.
«Non ringraziare me» rispose Vron bruscamente. «Il viaggio è finito. Non abbiamo più combustibile ormai, e non lo troveremo certo qui. A quest’ora tutte le sostanze radioattive si saranno certo trasformate in piombo. Dobbiamo vivere qui… non abbiamo altra scelta.
Uscirono in esplorazione.
«Guarda!» disse Dreena, eccitata, indicando qualcosa che si stava avvicinando. «Una nuova creatura! I cani non ci sono più e qualcos’altro ha preso il loro posto. Sicuramente si sarà persa la memoria di noi vampiri.»
L’essere che si stava avvicinando era telepatico.
«Ho sentito i vostri pensieri» disse una voce nelle loro teste. «Vi state chiedendo se noi conosciamo i vampiri: no, non li conosciamo.»
Dreena afferrò il braccio di Vron in estasi. «Libertà» mormorò affamata «e cibo!»
«Vi chiederete anche» disse la voce nelle loro teste «quale sia la nostra origine e come si sia sviluppata la nostra razza. Tutte le forme di vita sono ora vegetali. Io» disse la strana creatura chinandosi verso di loro «appartengo alla razza dominante. Sono, a chiamarmi con la parola usata un tempo, una rapa.»
p. s.
leggere il pensiero di Erri De Luca conforta, dà sollievo. Passa parola, grazie.
LIBERTA’…………………………?
libertà: ogni volta che riesco a dire sì grazie,no grazie
fantastica storia raccontata e inseguita nelle fondamenta delle parole…