Di una donna incinta si dice che è in attesa.
L’espressione è pertinente, nove mesi di gestazione comportano la desiderata fine dell’attesa.
Da nascituro in grembo a lei, però, non mi trovavo in attesa. Ci sarei rimasto, se lei non mi buttava fuori. E se ho puntato i piedi, lei mi ha rigirato e mi ha espulso con una spinta da dietro.
Impossibile rientrare. Ammiro i canguri che lasciano aperto.
Più tardi, da bambino, ho sentito parlare delle attese da parte dei grandi, annunciate dalla domanda: “Quando?”.
Mi è spuntata nell’età infantile un’opposizione intima contro le attese. Volevo stare senza. Non volevo aspettare niente, neppure la fine della scuola a giugno.
Nel primo libro che mi fu stampato è riportata questa frase del bambino che fui, rivolta a mio padre: “Se io voglio stare senza attesa, posso?”
Era abituato alle mie domande balorde, mi rispose qualcosa di gentile.
Da allora il mio rapporto col tempo è rimasto al rifiuto delle attese. Le ho ignorate e loro hanno ignorato me. Niente di quello che mi è capitato è venuto da un’attesa.
L’attesa è delle donne.Qunti anni Penelope aspettò Ulisse! Una donna i figli li aspetta . Sempre
Sa aspettare anche l’ amore,ma deve avere almeno una parvenza di eternità.
Per alcuni aspettare è già certezza di qualcosa. Grazie come sempre
Ha ragione: è inutile rimanere in attesa, perché tanto le cose o situazioni, arrivano comunque. Eppoi l’attesa significa un accadimento secondo le ns aspettative, il che non accade mai ma, anzi, dono completamente diverse da come le immaginavamo e, da qui, la mera delusione.
Sì, meglio attendere nulla.