Il 18 gennaio è il compleanno di mamma. Avrebbe novant’anni. Li avrebbe voluti, non era stanca di vivere, di leggere. “Chissà se dove vado ci saranno i libri”: non ho sentito nessuno sperare in un aldilà fatto di pagine. Le hanno tenuto compagnia assai più di me.
Rileggeva i grandi romanzi di Proust, Dostojevskij, Tolstoi, di giorno e anche di notte quando smetteva il sonno.
“E dimme qualche cosa, nun me lassa’ accussì”: mi diceva all’improvviso la strofa della canzone, durante le nostre cene, in cui stavo più zitto e chiuso, zitto e svuotato dalla giornata in cantiere. Mangiavo pensando a un verso della lettura fatta al mattino presto, a un appiglio che non riuscivo a tenere la domenica provando una via di roccia.
“E dimm e qualche cosa, nun me lassa’ accussì”: mi scuotevo dall’assenza con un sorriso scemo senza sapere dire né tenere la compagnia che le serviva. La sua voce che rompeva il silenzio con la strofa della canzone, oggi mi batte in testa, come un maldidenti.
Invece era lei a dire: leggeva tre giornali quotidiani, uno di Napoli, ne ascoltava la lettura alla radio, seguiva i telegiornali. Mi informava del mondo attraverso i suoi punti di vista e i sentimenti. Ne prendeva le parti, difendeva, accusava. Mi voleva schierare in un suo sdegno, un puntiglio, una compassione. Mi istigava, ma io avevo già le mie totali istigazioni.
Del mio passato non chiedeva né voleva sapere. Per lei io ero uno scrittore e basta.
Mi raccontava storie di belle età venute e svaporate, album di figurine di famiglia sfogliate in qualche sera col racconto. Sentivo e risentivo nomi di persone a lei care e per me spente. Mi sentivo lontano e mi sbagliavo. Mi riguardavano tutte le figurine del suo album. Ero fatto di loro, erano i miei ingredienti, molto più che parenti. Attraverso quelle persone mi parlava di me. Mi faceva sapere che io ero quella folla.
Ora anche lei fa parte del raccolto. Nelle sere in cucina, seduto al nostro tavolo deserto, mastico la mia cena occhi nel piatto e inghiotto le mancanze di cui sono composto.
…ora, la sua insostituibile mancanza è in me una presenza costante
Grande post Erri. Mi è piaciuto così tanto che te ne ho rubato l’impianto per ricordar mia mamma: http://wp.me/p1Lt6o-1JK
Traduction bienvenue en français d’Eugenio Populin pour un beau texte d’Erri de Luca qui fait peser et apprécier cette chance que j’ai d’être toujours avec ma maman qui aura 88 ans le 6 février prochain. http://blogs.mediapart.fr/…/300115/erri-de-luca-anniversaire
La traduction mentionnée ci-haut n’apparaissant pas, je l’ai ajoutée ici..
http://lettresitalie.blog.lemonde.fr/2015/01/31/anniversaire-erri-de-luca/
peut-être celui-ci fonctionne-t-il :
http://blogs.mediapart.fr/blog/eugenio-populin/300115/erri-de-luca-anniversaire
Supportico Lopez, mi sembra di riconoscere o forse sbaglio, ma non l’emozione di vedere quei vasoli pieni di luce spenta di luce spenta, dove chissà quante volte le nostre madri si sono guardate senza conoscersi o si sono salutate col il rispetto vecchio del nostro quartiere. Anche a me manca la mia, il suo compleanno è il 7 febbraio.Auguri alla mia e alla tua.
Che vicinanza mi trasmettono queste parole e l’amore di cui sono fatte…
Non è facile esprimere le emozioni con le parole, alcune volte, semplicemente si fermano,
è molto bello il suo articolo tutto ciò che potrei aggiungere sarebbe sicuramente riduttivo.
Caro Erri,
mia madre mi ha insegnato a rispettare i maestri. A cominciare dalla maestra. Quando preparava le zeppole diceva : “Ne porti un piatto domani alla tua maestra?”. Ecco perché per un periodo ti mandavo un po’ di pasta. Per rispetto imparato per zeppole di madre.
Oggi cosa riserva il Paese ai nostri maestri?
De Luca è………veramente……………..
Considero il più grande onore essere stata nelle sue grazie, averle fatto compagnia con qualche racconto, aver imparato da lei un paio di ricette e il segreto per una buona frittura, aver giocato insieme i numeri del lotto e qualche mano di scopa a perdere. Nel suo sguardo mi sono riconosciuta: ascoltava anche quello che non potevo dire.
Ogni volta che varco la soglia tra giardino e casa, devo fare i conti con la sua assenza. E ogni volta, il mio primo saluto, a bocca chiusa, va a lei. In risposta, mi sento addosso il suo sorriso canzonatorio, il più nobile “benvenuto” che ho ricevuto.
Silvia
“….mastico la mia cena occhi nel piatto e inghiotto le mancanze di cui sono composto.” Grazie Erri per queste righe.gioia
Sto piangendo come una fontana.. Grazie! E’ una pagina intensa e preziosa. Mi hai regalato la mia dose di felicità giornaliera.
Così, a volte, doppiamo noi stessi. La nostalgia di certe giorni accompagna i figli la sera, ma fa tornare a noi i cari, è “presenza”…
Sì, è presenza, che chiede di comprendere perché un tempo eravamo assenti
squarcia la carne ed i pensieri, l’anima…mi ci ritrovo anch’io…un monito perenne a non rimandare parole o gesti, a ricordare, al dialogo fino a quando i pilastri della nostra vita sono ancora con noi