Chi sta dentro una guerra sente crescere in sè una tensione costante. Con insonnie e improvvisi sussulti il corpo si abitua allo stato di continua allerta.
Nei ritorni dai viaggi in zone di guerra coi convogli di aiuti, mi accorgevo del calo di tensione attraversando la frontiera italiana. Rientravo con il furgone svuotato e dovevo riabituarmi alla normalità.
La guerra ha un ringhio di fondo, un ultrasuono che avvolge i sensi e li acutizza. Esige l’esclusiva dalla vita umana, non concede tregua neanche durante i poco rispettati “cessate il fuoco”.
La guerra è un assedio che preme da ogni lato.
Nei viaggi in convoglio ci accompagnava con i posti di blocco, il suono delle sirene di allarme, le strade ridotte a piste tra campi minati.
Succedeva però una diversa sensazione quando si arrivava in un campo profughi, un ospedale, un orfanotrofio.
L’attesa annunciata dei nostri rifornimenti, la disciplinata distribuzione, lo scarico fatto da braccia a braccia, uno scambio di frasi, di strette di mano, qualche commosso abbraccio, la gioia dei bambini che ricevevano qualche giocattolo aggiunto tra le casse: improvvisamente era vita normale, l’invasione di un’ora di pace. Bastava a ingolfare il respiro pesante della guerra, procurarle un colpo di singhiozzo.
Ho saputo in quei posti che un’ora di quelle buttava la guerra gambe all’aria, la rendeva assurda, sospendeva la sua tirannia sopra le vite.
Il verso di un salmo di Davide ordina con il verbo all’imperativo: ”Cerca pace e inseguila”.
La pace da sola non cala come un sipario di teatro. Dev’essere cercata col verbo trafelato di chi insegue, di chi ne afferra un lembo.
Ho visto inseguire la pace tramite la fraternità che inceppa la macchina della distruzione.
Ho visto il colpo di singhiozzo assestato al diaframma della guerra.
Ho visto la sua resa, la capitolazione col silenzio delle bocche da fuoco.
Ho visto ammainare la sua bandiera nera.





Le choix :
– proclamation d’un désir de paix
ou
– démarchage d’avions, de tanks.
Le vice :
les deux options « en même temps »