Con il metallo dei cannoni lasciati nella ritirata dell’esercito napoleonico, i Russi fecero campane. A loro volta quei cannoni francesi erano stati forgiati col metallo di campane.
Le metallurgie obbediscono all’ordine del giorno. Le altalene di guerra e di pace ripetono le loro oscillazioni.
Sulla facciata della sede ONU a New York è incisa su pietra la frase del profeta Isaia che annuncia: “E spezzeranno le loro spade in aratri e le loro lance in falci” (2,4).
Per completezza andava riportata, magari sul retro, quella del profeta Ioèl che rovescia la promessa: “spezzate i i vostri aratri in spade e le vostre falci in lance” (4,10).
I capi delle nazioni legano il loro nome a qualche guerra. Sembra loro di dirigere il corso della storia. Sanno come avviarle, non di più. Hanno in comune la previsione di concluderle presto. Mussolini entra in guerra nel giugno del 1940 credendola quasi risolta, dopo le conquiste naziste di mezza Europa. Cinque anni dopo finiva la sua guerra immaginata breve, e lui con essa.
Più insensato è l’attuale ricorso alle armi, perché si dispone di informazioni complete, di dati elaborati, di modelli matematici che simulano sviluppi.
Eppure qualche capo di nazione insiste a illudersi di avviare una guerra di durata breve.
Chiamo “Eppure” quest’epoca che presume di governare il caos delle sue azioni.