L’ultima salita, patibolo in spalla, termina sull’altura calva del Golgota, cranio. Nel corteo di scorta il condannato scorge il trambusto dei piedi, quello può vedere, curvo sotto i colpi e il palo caricato addosso. Il santo non galleggia a mezz’aria, non passeggia sull’acqua, ha deposto in terra la sua giocoleria miracolosa di riparatore di guasti e corpi offesi. Calpesta il suolo, inciampa, gli spetta la condivisione del peggio che gli uomini si fanno. Distinguerlo tra la polvere e la folla è un primo atto di fede. Ha le stesse mani che hanno consumato attrezzi da lavoro, le mandibole forti di chi ha molto stretto i denti per pareggiare carichi di sforzo. Il santo è una forza lavoro tra le altre. Ha versato dal corpo fiumi di sudore,perduto sali a sacchi. Non è stata atletica leggera la sua vita. La sua faccia e le altre intorno sono scritte dal morso dei geli e delle arsure, le fessure degli occhi incallite dall’attrito del vento.
Di incoronati a spine è pieno il mondo. Vanno a piedi, abitano vicoli ciechi,il Golgota è solo uno di questi. Qualcuno di loro sarà piazzato su un altare, la gran parte sfuggirà ai fascicoli,in latitanza lieta. Diventano santi all’insaputa, grazie anche a un solo gesto di misericordia, offerta. La santità brulica clandestina. La malvagità invece si compiace dell’esibizione. I santi hanno per destino comune la sentenza di Isaia :” Gratis siete stati venduti e senza denaro sarete riscattati”. La loro avventura è senza tornaconto, affrancata dalla partita doppia. I loro corpi vanno al macero come carta dei doni di Natale, involucro di tutt’altro.
nella scrittura di Erri nel suo modo di disporre le parole sul foglio c’è una magia celata un’anima nascosta – è questo che me lo fa amare. La sua scrittura assomiglia al suo volto – e questo mi ricorda una altro napoletano dalla scrittura e dal volto straordinari: Eduardo De Filippo.