Invitato a intervenire in un appuntamento di Magistratura Democratica ho ricordato di essere stato imputato.
Quando lo ero per le parole di sostegno alla lotta della Valle di Susa contro lo sventramento delle loro montagne, l’aula del tribunale era affollata. Amici, cronisti, curiosi seguivano il dibattito di accusa e difesa.
Arrivando passavo nel corridoio dove in altre aule si svolgevano processi senza una presenza, neanche di parenti.
Il processo che mi riguardava era una rarità e assumeva un carattere personale.
Nelle altre aule niente ricordava che si processava una persona. Si sbrigava la pratica di un fascicolo, si applicava il prontuario delle pene previste, si storpiava anche il nome se non italiano.
Non so se la specialità di essere persona è previsto dalla procedura. Vedevo che a me capitava e agli altri casi no.
In anni lontani sono stato processato insieme ad altri. Allora non c’importava di essere persone, rappresentavamo invece pubbliche ragioni.
Nel processo di Torino da singolo imputato capivo la potente differenza tra essere un caso oppure un numero di fascicolo.
La legge può essere, se ci riesce, uguale per tutti, ma la sua applicazione pratica no.