Riporto una testimonianza raccolta dal giornalista Jean Hatzfeld che ha potuto visitare in prigione diversi autori dei massacri in Rwanda, compiuti quasi tutti all’arma bianca. Negli anni ‘90 la popolazione Tutsi è stata braccata dall’etnia Hutu e capillarmente uccisa.
Uno di questi sterminatori dice: ”Nel periodo delle uccisioni non ho mai sentito il nome genocidio. Ci è capitato di sentirlo dire dalla voce di giornalisti stranieri e di operatori di organismi umanitari. (…) La verità è che tra noi non si pronunciava. Molti neanche conoscevano il significato di genocidio. Non serviva a niente. Sapevamo quello che facevamo senza bisogno di nominarlo”.
Dev’essere così: certe azioni vogliono stare al riparo dalle parole che le definiscono. E se servono, devono essere false e a sostegno del crimine.
I nazisti chiamavano “wohnungsbezirk”, distretto abitativo, i ghetti in cui ammassavano la popolazione ebraica.
Un altro assassino dice che i Tutsi venivano da loro chiamati “cancrelats“, nome di un insetto parassita, travestendo così lo sterminio sotto la forma di una disinfestazione.
Il linguaggio del potere di turno deforma l’avversario per degradarlo a scopo di schiacciarlo. Da noi si sente usare con disinvoltura il termine “zecche” per definire degli oppositori, senza obiezioni e senza che l’ascolto faccia rabbrividire.
La premessa di ogni accecamento pubblico inizia con parole deformanti e prosegue col silenzio necessario agli esecutori delle conseguenze.
Da sconfitti, da condannati, gli assassini Hutu incontrano le parole che definiscono quello che hanno commesso.
Al termine dei deliri il vocabolario, più che i tribunali, ristabilisce la verità.
Compito contemporaneo di una persona competente della propria lingua, uno scrittore per esempio, è di denunciare la prostituzione di vocabolario, lo spaccio di parola falsaria. Senza il mandato della sentinella, senza autorizzazione a gridare: ”Chi va là”, il cittadino deve ugualmente difendere la reputazione di quell’elenco di nomi che in ordine alfabetico va da abaco a zuzzurellone.
Finchè morte non sopraggiunga.
Ricordando Amos Oz con gratitudine.E pure con un sentimento di amicizia,certo- malgrado la distanza…….-
“Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte.“
(Da ” Contro il fanatismo” di Amos Oz)
-IL popolo di legno- – da rileggere il bel libro di Emanuele Trevi-
Il titolo esatto avrebbe dovuto essere -il popolo di coglioni-
L’Italia che strano paese è diventato.Ci si esercita all’odio,grandi allenamenti in corso,ogni giorno.Vince chi odia di più?Dici bene-accecamento pubblico —e silenzio necessario-
Fotografi con esattezza il nostro povero paese mortificato e dalle grida e dai silenti.Di cui fai parte,però.Mi insegna a contare in questo modo l’uomo del sottosuolo per cui due più due fa cinque.Ha ragione lui contro le banali evidenze.AH questa maggioranza silenziosa e assente……ascoltando – ALINE- di Arvo Part cerco di farmi passare la grande tristezza
Caro poeta mio, quello che leggo oggi è l’esercizio magistrale di richiamare l’attenzione sull’importanza delle definizioni che nella Storia hanno avuto dovuto far da intercapedine e ossatura a idee fantoccio; e nel contempo di nominare gli assassini di cristianità di questi tempi consolari senza esser diretti. Non lo hai fatto tu, non lo farò neanch’io dunque. Non solo perché non sono così brava come te a comunicare denunciando senza scoprirmi, ma anche per sfregio voluto, s’è solo questo che mi rimane come arma, uso la ‘damnatio memoriae’ ante mortem. Quel che hanno in testa certi ‘passanti ‘ sedicenti divinizzati da un popolo acclamatore, lo abbiamo capito ( … capirai che novità! Spostando le dita sui calendari, vediamo che la testa di cazzo è sempre la stessa, solo il copricapo è cambiato, da elmo a berretto da stadio). E’ la reazione dei circostanti che non inquadro… sono pro o contro ‘sti nomi contenitori di cianfrusaglie?Boh??? Sono buffi Erri, come quelli che applaudono a comando negli show pomeridiani a pagamento…non si sa se c’è l’applauso o s’è passata una mosca da scamazzare davanti. Io mi siedo… aspetto che sia tu a tirare fuori la definizione di questa che somiglia a uno stato vegetativo vigile collettivo… del resto l’hai pure scritto: ” Compito contemporaneo di una persona competente della propria lingua, uno scrittore per esempio, è di denunciare la prostituzione di vocabolario, lo spaccio di parola falsaria”. Scusa, ma tu ti sei offerto 😀 , io approfitto. Un bacio anzi due, kisses B.
Mantenere la parola è il gesto dell’amicizia. Lo scrittore “mantiene” le parole, è l’amico del vocabolario.
“Vittime sacrificali” sostituisce: “danni collaterali votivi preterintenzionali”
In un trattato scritto per un dibattito su “Eichmann a Gerusalemme” nel Collegio Hofstra nel 1964, la Arendt afferma, infatti: “la mia opinione è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici e, nel momento in cui cerca il male, è frustrato
perché non trova nulla. Questa è la sua banalità… solo il bene ha profondità e può essere integrale.”
B come banalità, per esempio…
B come Banalità, per esempio…
Banalità, per la Arendt, significa “senza radici”, “non radicato nei motivi cattivi”… La banalità del male è nel pericolo della irriflessività di coloro che, indipendentemente dalla loro intelligenza, commettono atti atroci considerandoli normali, perchè questi sono diventati regole di comportamento e valori socialmente accettabili. Sta di fatto che riflettere sui propri pregiudizi non è mai stato né attraente, né spirituale e che quindi confondere la realtà con la verità sta alla radice della “tentazione” dei totalitarismi a costruire una realtà basata sulla menzogna. Invece il nazismo è andato oltre perchè è riuscito a costruirla su una “proiezione” in assenza di “riflessione”…
L’azzardo di venire al mondo….pensando all’Indonesia oggi.La vita rimane un mistero insondabile che noi giustamente e vanamente cerchiamo di addomesticare
-Noi non riposeremo mai-scrivevi al tuo amico poeta Izet Sarajlic che dava e trovava riparo nelle parole,nelle terribili notti di Sarajevo.Hai mantenuto la parola data.Ti fa onore in questi tempi di quasi -totale irresponsabilità-, mentre nuovi orrori avanzano, lanciare un urlo in forma di parole per tentare di tenere alta l’attenzione anche in questi giorni pigri.
La tentazione di far cadere tutti i pesi a terra è molto forte, coprire d’oblio quello che abbiamo alle spalle per camminare più speditamente è in fondo molto umano,si deve pur vivere
Poi ti leggo e mi dico che hai ragione ma ognuno deve trovare le proprie vie perchè -a ciascun giorno basta la sua pena-Queste parole sono oggi il mio personale viatico.
Degradare per schiacciare
Non dire per far finta che non esista
Si festeggia la nascita di un bambino,parola che si è fatta carne,per chi crede,parola ugualmente necessaria a tutti coloro che hanno sete e fame di giustzia.
Sono questi “briganti di strada” come vengono definite in letteratura le zecche, quelle vere. Parassiti pronti a profittare della prima occasione e aggredire
le persone più indifese e stravolgere la grammatica del vocabolario. Si addice molto a questi personaggi di questi tempi menzogneri ” ‘cancrelats’, nome di un insetto parassita” in lingua Tutsi…
non a caso, credo, che sin troppi seguaci del nostro Salvini indichino con i termini “zingari&neri” etnie da loro molto poco gradite e cosa altro aggiungere?
r.m.