Pubblichiamo l’intervista a Erri De Luca di Alessia Bronico
– Lei è scrittore, poeta, traduttore, alpinista, è stato anche molto altro, ma è prima di tutto un uomo. Come definirebbe un uomo?
Un bipede sprovvisto di ali, in compenso appesantito da coscienza.
– La poesia è la mia malattia, la mia fissazione. Lei ha delle fissazioni?
La poesia è stato il formato da combattimento della letteratura del 1900. Non so cosa intende per fissazione, se una mania, un vizio, una ossessione. Ho una preferenza per l’uso della parola nello scambio tra persone, la preferisco a ogni altra espressione, artistica e no. Considero il vocabolario il migliore sistema immunitario contro la falsificazione della realtà.
– Vorrei chiederle cos’è per lei la poesia, invece le chiederò: cos’ha cambiato in lei la poesia?
Sono un lettore di poeti, che mi hanno istigato a ricercarli nelle loro lingue. Dopo aver appreso al liceo il Greco e il Latino, dopo avere amato i versi di Ovidio e di Omero, ho studiato il Russo per stare più vicino a Mandelstam, Zvetaeva, Pasternak. Leggo lo spagnolo di Borges, di Lorca, di Neruda. I poeti mi hanno allargato l’orizzonte.
– « […] il tempo è un guastatore./ Allora restauro leggende», un verso da BIZZARIE DELLA PROVVIDENZA, quanto sono importanti le storie per un popolo?
Le storie sono importanti per una famiglia, per un bambino che le ascolta dagli adulti, che siano favole o cronache domestiche. Le storie a voce formano una educazione sentimentale più di qualunque insegnamento scolastico, religioso, più di qualunque gioco. Un popolo invece può essere fuorviato dalla storia, dal mito del momento, dal richiamo di un pifferaio capace di incantesimo.
– In OPERA SULL’ACQUA scrive: «Per chi scrive storie all’asciutto della prosa, l’azzardo dei versi è mare aperto. Non li ho raggiunti, i versi. Qui ci sono linee che vanno troppo spesso a capo». Come si scrive una poesia?
È una urgenza che ha bisogno di una forma telegrafica, un pensiero che si conficca in poco spazio. A volte mi accorgo di scriverne una dal primo rigo, altre volte me ne accorgo qualche rigo più sotto. Non importa molto l’inizio, ma la fine dev’essere brusca come una finestra sbattuta dal vento.
– In un’intervista lei ha detto: «Avevo un rapporto un po’ delicato con le parole, per me le parole avevano un peso, un significato e dovevano trasformarsi in atti, per cui tutti gli slogan esagerati io li tacevo, non li pronunciavo». Parola come azione, un concetto che mi colpisce perché io ci credo, quanta azione c’è oggi nelle parole di coloro che con le parole lavorano?
La parola odierna, pubblica e privata, si è liberata dalla responsabilità di quello che afferma. Serve all’effetto immediato, poi può essere smentita, contraddetta, senza pregiudizio per chi l’ha usata male o a sproposito. La parola è diventata ritrattabile, dunque senza obbligo di significare e di portare peso. Nel mio caso giudiziario di parola incriminata, il mio scrupolo è stato quello di confermarla, ripeterla, ribadirla a oltranza per la durata dei due anni di incriminazione. Ho voluto difendere la mia parola data e pronunciata per dovere di scrittore. La ho dovuta difendere, altrimenti avrei guastato il mio vocabolario, attenuandola e ritrattandola.
– I poeti sono profeti?
No, sono cantori. Omero canta l’assedio e la fine della città di Troia, canta il viaggio di Ulisse. Il profeta è imbeccato dalla divinità e ha la responsabilità di ripetere fedelmente e molto spesso a vuoto, senza ascolto.
– Qual è stata la necessità che l’ha spinta a scrivere in versi?
Ogni volta è diversa, altrimenti scriverei la stessa. Si tratta di amore, di collera, di compassione, di fraternità, per sommi capi.
– La solitudine è necessaria all’uomo, perché i giovani la temono?
La solitudine può essere spaventosa, se non si ha vocazione per l’isolamento. Da giovani è una mutilazione, da anziani diventa un vizio.
– La ringrazio per avermi donato del tempo e per concludere le chiedo: cos’è che non deve mancare alla vita?
La buona salute, altrimenti la vita è un atto di eroismo.
Grazie Erri. Leggere le tue parole è sempre un’emozione.
Grazie per questa intervista così interessante.
Brava Alessia. Questo mi sembra il compito del critico. A una critica letteraria civile toccherebbe domandare / domandarsi perché, ad esempio uno scrittore, un poeta difende il proprio vocabolario. Invece oggi il critico sogna di prendere il posto dello scrittore o del poeta… Belle le domande e altrettanto belle le risposte. Questo è far interviste…
Condivido la riflessione di Raimondo e dico ancora Erri vede l’aperto, Alessia ha rubato una vita al gatto … tanto ne ha altre otto .
Infatti Erri io mi sento un eroe con il dolore cronico da anni ma.mi cibo di vita e delle tue parole.
Con rinnovata stima perché anche un intervista ha la.melodia di una poesia
Mi sento prolisso e prolifero. Non so del tuo dolore cronico Alessandra ma chi sta con Erri sta col vocabolario della parola. Tu stai con Erri e meriti l’augurio della ottava vita del gatto ,