Cos’è viaggio?
É un andare senza certezza di destinazione e senza biglietto di ritorno in tasca. Il turismo per me rientra invece nella voce spostamento, spesso inteso come spedizione così minuziosamente organizzata prima, da poterla definire imballaggio.
Lei interpreta il concetto di viaggio come cammino. Perché?
Perché è quella l’andatura umana, il suo passo che schiude lentamente il paesaggio attraversato e apre agli incontri casuali con abitanti e altri viandanti.
Forse il luogo che più di ogni altro ha sentito la fatica dei suoi passi è la montagna. Perché, cosa si aspetta di trovare ogni volta che l’affronta?
Di starmene in disparte in uno spazio vasto, di sentire la mia inferiorità numerica e fisica in punta di piedi… addosso alla bellezza.
Molti dei suoi personaggi infatti cercano rifugio proprio nella montagna. Cosa nasconde e cosa invece svela?
Svela qualcosa di se stessi, mette a prova la pazienza, la fraternità, la capacità di isolamento. Nasconde i suoi pericoli sotto una smagliante bellezza.
Quali sono i suoi suoni?
Il vento è il direttore d’orchestra. Sposta sassi e valanghe, riempie di musica le chiome delle ultime conifere, taglia via la voce del compagno di cordata. Poi c’è il fulmine che lassù è martello, scalpella le pareti e le sbriciola in ghiaie che crepitano sotto i passi.
Quali invece i suoi abitanti?
I più arditi che si sono adattati alle difficoltà del terreno e alle scarsità. Il più atleta è il camoscio, il più elegante è il corvo, agile anche a terra dove l’aquila invece è più goffa di un tacchino. Poi nei boschi si è ripopolato il cervo e a fine settembre si sentono i richiami maschili dell’accoppiamento. Il capriolo, più schivo, abbaia, la marmotta fischia come una pescivendola al mercato.
Sono diversi gli alberi di montagna rispetto ai fratelli delle valli e delle coste?
Sia al mare che in montagna vivono le conifere, ma quelle di montagna hanno a che fare con le nevi schiaccianti che piegano i rami ma non li spezzano. In alto dove resiste solitario il cirmolo e il cespuglio di pino mugo, essi segnano il confine della vegetazione: oltre di loro esiste solo il regno minerale. L’albero di montagna è una creatura di frontiera, quello di costa no.
Qual è l’incontro più suggestivo che ha mai fatto lassù?
Un vecchio maschio di camoscio sulla cima del Borgà, sopra Erto, che non si è fatto disturbare dal mio arrivo ed è rimasto lì seduto a fianco per tutto il tempo della mia sosta. All’epoca stavo scrivendo Il peso della farfalla dove appunto si narra di un vecchio camoscio. La coincidenza ha reso quell’incontro un segno per me di misteriosa intesa.
L’Italia vanta un territorio d’alta quota incredibile, come gli Appennini e le Dolomiti (patrimonio Unesco). Quali sono i più selvaggi, quali i più impervi?
Gli Appennini sono la colonna vertebrale che spartisce l’Italia in due versanti, anche climaticamente opposti, poco collegati da valichi, dunque più aspri e vuoti d’insediamenti. Gli Appennini sono un sistema montuoso, meno frequentato e per questo più riservato, le Dolomiti una preziosità minerale, come un cristallo di grotta.
Quanto sono importanti i Parchi come risorsa italiana?
I Parchi sono dei posti dove siamo ammessi con obbligo di discrezione, posti che possono insegnare un po’ di buona educazione a noi, ma non riescono a essere santuari. La montagna è un’isola piantata in terraferma, per accostarla bisogna staccarsi da una base, da una vallata, come da un porto. Certe isole dove non si può sbarcare né sostare all’ancora, come Montecristo, sono più efficacemente dei presìdi naturali.
Ci sono paesi che ancora vivono in simbiosi con la montagna. Paesi arroccati, come Rocca Calascio, tra i più alti d’Europa. Chi vive ancora la montagna davvero?
Resiste il pastore che trova in estate pascoli più accessibili mentre d’inverno deve spostare a valle il bestiame trovando difficoltà di spostamento e di collocamento. Resiste il boscaiolo, resiste qualche struttura contadina sul genere del maso. Ma in prevalenza l’economia di montagna si è specializzata in offerta turistica.
Perché è importante tornare alla montagna?
In genere nella nostra economia e nella società urbana ingolfata si sente un bisogno di tornare alla terra. In questo impulso nuovo rientra anche un timido riaffacciarsi in montagna non come seconda casa, ma proprio come residenza principale.
Nel suo libro Sulle tracce di Nives descrive la montagna come luogo deserto dove si vede il mondo com’era senza di noi e come sarà dopo. Cosa intendeva?
Così è per me l’alta montagna, dove è più impervia: un panorama dove la nostra presenza manca del tutto e allora mi sembra di sbirciare dal buco della serratura un mondo senza di noi.
Qual è la sua montagna ideale?
Sono affezionato al Campanile di Val Montanaia e ammiro la linea del Monviso che si stacca di netto sulla catena delle cime intorno. Ma la mia montagna ideale è il Sinai: non quello che oggi viene chiamato così, con abuso di identificazione. Quello dove la divinità scese all’incontro con Mosè che saliva; quel punto che faceva da reciproco confine e dove avvenne scambio di consegne. Quel Sinai è altura che si fece origine di tutta la nostra civiltà religiosa. Da non credente rispetto quel luogo che ha posto nella scrittura sacra, ma non necessariamente in geografia.
(Foto di Carlos De La Fuente)
Intervista di Marta Saviane
A Erri (ai suoi lettori) questi versi di Franco Arminio come ringraziamento per parole così intense.
Mediterraneo interiore.
“Concedetevi una vacanza/intorno a un filo d’erba,/dove non c’è il troppo di ogni cosa,/dove il poco ancora ti festeggia/con il pane e la luce,/con la muta lussuria di una rosa”.
(“Geografia commossa dell’Italia interna”, Bruno Mondadori.