Intervista a Erri De Luca al settimanale “Vita”
Sei d’accordo nel dire che siamo di fronte a una “lasvegasizzazione” delle nostre città e in particolare delle periferie?
Dichiaro subito la mia incompetenza. Non sono entrato in nessuna sala giochi, in nessuna sala bingo, non pratico videogiochi ne’ macchinette mangia soldi. Per supplemento di astinenza non acquisto biglietti di alcuna lotteria. Vengo da una città che si è giocata a carte e alla roulette palazzi e campagne, sono stato avvertito da una narrativa tragica e esilarante di scialacquatori di patrimoni. Fatta questa dovuta presentazione, credo che Las Vegas sia un luogo messo in programma da chiunque abbia fatto anche solo un viaggio negli USA. Anche qui mi defilo, io no. Non vedo imitazioni di quella città del Nevada presso di noi. Vedo che lo Stato italiano è diventato biscazziere. Contro la fitta e minuziosa evasione fiscale che non sa contrastare, ha scelto un altro tipo di prelievo dalle tasche, quello volontario degli intossicati dal gioco di azzardo. In ogni luogo dove si scommette denaro, io non vedo Las Vegas ma Equitalia, un’agenzia clandestina delle entrate.
Ci sono dei luoghi specifici, di Napoli o di Roma, che hai visto trasformarsi in questi anni proprio per la diffusione di bingo, slot o di centri scommesse?
Sono affezionato ai vecchi banchi del lotto, dove le persone cercavano di estrarre numeri dai sogni e dagli avvenimenti. Sommersi da altri lusingatori di vincite, mi accorgo più della loro assenza. Le loro sostituzioni sono più tristi del banco dei pegni, dove si cede qualcosa che ha un valore, in cambio almeno di uno spicciolo. Ma ho già detto che non solo non ci metto piede, ma neanche mi accorgo della loro esistenza. Una persona che vi entra per me sparisce in un buco nero
Cosa ti fa pensare il fatto che questi luoghi siano quasi sempre con vetrine oscurate? C’è anche una “vergogna del gioco”?
Sono luoghi pornografici, dove si consumano vizi solitari. Mi risulta che la pigrizia permette di consumarli anche a domicilio, giocando sul proprio schermetto illuminato. Io mi tengo il vizio solitario della lettura, che non è ancora atto osceno in luogo pubblico e dunque posso farla ovunque.
Passando davanti ad uno di questi centri ti vien mai di pensare a chi c’è dentro, alle loro storie, alla deriva di cui sono vittime?
No, penso invece a quelli che ne escono dopo aver bruciato lì dentro i soldi destinati all’affitto, alla bolletta del riscaldamento, alla mensa di un figlio a scuola. E penso che una disperazione così non l’ho conosciuta.
C’è una relazione tra l’invasività urbana di questi luoghi e invece la solitudine silenziosa di chi all’interno gioca?
A domanda psicologica risposta evasiva: la solitudine del giocatore la ho conosciuta a Napoli e nel racconto di Dostojevskij. Avevano la strana nobiltà dell’indifferenza al valore del denaro. La solitudine che immagino in quelle sale e’ opposta, raggiungendo il massimo di idolatria del denaro inteso come divinità. Questa solitudine, continuo a immaginare, li accompagna ovunque, dentro la pista e fuori.
Faccio seguito ad alcuni commenti dei giorni scorsi.
Non si condanna la fragilità, la solitudine degli sciagurati inghiottiti da trappole pericolose ad ogni età. L’accusa è verso chi queste trappole le pone in essere, contando di approfittare di quella fragilità e di quella solitudine. La disperazione fa pena. Lo sfruttamento della disperazione fa molta rabbia.
Il gioco, si sa, può portare a una dipendenza vera e propria, come quella dall’alcol, dalle droghe, o altre ancora. E come tale andrebbe affrontato.
Non credo che entrare in una sala dove si rischia seriamente di buttarsi via sia un atto paragonabile a leggere o ascoltare musica.
Al contrario, un libro o un concerto sono esempi di investimento proficuo delle proprie giornate. Tutt’altro che vuoto e spaesamento: sono nutrimento, sono una bussola.
Bisognerebbe fare più rumore ogni volta che un cinema, una biblioteca, un teatro non ce la fa più. Un triste elenco si potrebbe fare, molti luoghi che sfornavano cultura sono stati chiusi per l’insostenibile sforzo economico, a cominciare da quelli di provincia.
E quanto fascino hanno perso, oltre che contenuti, quelle strade dove un cinema storico ha lasciato il posto a un supermercato. E quanta bellezza viene cancellata da bische di improbabili vittorie.
Se i luoghi sono simbolo di chi li abita, nasce tanto scontata quanto amara la riflessione su ciò che stiamo diventando.
Dobbiamo tornare a passeggiare più spesso tra le rovine antiche.
E’ chiaro che il gioco è una dipendeza e va condannato, non provo pena per nessun essere umano se sceglie. La mia voleva essere una provocazione ma non solo, sono stanca dei soliti discorsi, niente di personale, ma negli ultimi anni parliamo e parliamo
ma intanto la borghesia di sinistra è sempre più povera non solo di soldi, non sopporto più questo nostro
metterci sul piedistallo bla’ bla’ ecc…..Ipocrisia da vendere. Io non sono mai entrata
in un sala bingo e mai ci entrerò, non vado a ballare il tango purtroppo e sono selettiva
e riservata amo leggere e ascoltare musica ma non mi piace pensare che sia nel giusto e tutti gli altri siano niente.
Il come siamo brave non vale questo mondo lo abbiamo costruito anche noi, assumiamoci
le nostre responsabilità, politiche e personali.
il vero vizio incurabile,l’infinito intrattenimento.
corro a rileggere _il giocatore_
grazie
Sono un docente. C’è una sala-giochi di fronte alla scuola.
Grande Erri De Luca, narrazione di questa “morte a credito” rappresentata dalla speranza di vincere. Invece la perdita è matematicamente certa. E pensare che dall’altra parte del banco chi detiene il gioco fa male alla vita di tanti “speranzosi”, la rende “malavita”
Vedo nel”vizio” del gioco un vuoto interiore e mi capita di provare pena specialmente per le donne avanti negli anni che si giocano parte dell’esigua pensione, ma non so condannare.
Perché condannare, perché giudicare c’è una bellezza intrinseca nella settantenne con la sigaretta in bocca che per un giorno rinuncia a nutrirsi con un pollo di plastica per giocare a lotto o fare amicizia in una sala bingo. Noi brave “ragazze” della buona borghesia tanto
di sinistra riempiamo il nostro vuoto con la lettura, il cinema, l’opera in galleria perché
la crisi e le tasse ci hanno impoverite…..che vuoi fare balliamo tutti nella stessa sala
con passi diversi ma tutti tremendamente umani. Ciao