Francisco de Zurbaràn (1598-1664) fu pittore spagnolo del secolo chiamato poi “d’oro”.
Compose un ciclo mitologico dedicato alle imprese di Ercole. La decima, la più esagerata, riguarda il furto dei buoi di Gerione e comporta l’apertura dello Stretto di Gibilterra. Raffigura un gigante che separa Africa da Europa, stringendo tra le mani due colonne. Sono quelle d’Ercole, antico nome dell’ultimo tratto del Mediterraneo prima dell’Atlantico.
In epoche remote il bacino senza sbocchi evaporò. La breccia che lo aprì verso l’oceano fu provvidenziale.
Il Mediterraneo ora riceve acque anche dal Mar Rosso, via Suez, oltre che dal Mar Nero.
Un geografo rimasto sconosciuto vide nell’apertura di varco a Gibilterra l’opera di un gigante sconosciuto, che lasciò attribuita a Ercole l’impresa.
La cesura tra i due continenti è il risaputo effetto di sconvolgimenti sismici. Resta ugualmente intatto per me il fascino per l’immaginazione che dava forme umane a forze gigantesche. Chi raccontò la versione erculea dell’apertura a Gibilterra non aveva pretese scientifiche.
Con maggiore ambizione, con più decisivo effetto, piantava nel mondo una leggenda, una mitologia.
Le risultanze scientifiche scadono, oltrepassate dai progressi.
La decima di Ercole resta insuperabile e immortale.
“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per inseguire virtute e canoscenza”…
Se la Scienza insegue e lo Spirito non incita, anche i giganti non sono che un agglomerato di passioni distruttive.