In questi giorni di pioggia faccio caso alle gocce che restano appese all’estremità degli aghi di pino. Più di quelle sui vetri, mi meraviglio di come facciano presa, le gocce.
Gli ultimi saranno primi: l’espressione ricorre nei Vangeli di Matteo, Marco, Luca. Il termine greco dei loro testi è: ”èscatoi”, che non precisamente gli ultimi, ma i lontani. “Èskatia” è confine, bordo, estremità. Quelli che provengono da quella remota distanza, che hanno più a lungo viaggiato, avranno precedenza.
Nel nostro linguaggio il termine “ultimi” indica i più miseri, ma comporta anche il senso di una graduatoria, del risultato di una competizione. L’immagine allude a una società di concorrenti nella quale si deve primeggiare, prevalendo sugli altri. Si imita una terminologia americana che indica nel “loser”, usato in modo dispregiativo, il perdente, rispetto a chi a sua volta si attribuisce il titolo di vincente. Questa impropria classifica sociale si basa sul reddito, argomento che dovrebbe interessare solamente il fisco.
L’uso di questa terminologia è una deriva, infetta le relazioni sul posto di lavoro, in famiglia, nella società. Si vince e si perde al gioco, non nella vita di una comunità. Vivere non una partita. Chi la vede così, guasta i propri nervi fino all’esaurimento.
Insistere sugli ultimi ha poi l’effetto secondario di irritare i penultimi, i terzultimi, e così via, risalendo una graduatoria immaginaria, aizzando sentimenti di esclusione.
Preferisco perciò tradurre gli “èscatoi” con i lontani, quelli che sono in cammino da più tempo e da maggiore distanza. Quelli avranno precedenza, come le gocce di un giorno di pioggia, venute dal denso delle nuvole, che invece di scivolare via, si aggrappano e resistono anche al vento.
Con i lontani migliora anche l’immagine della vita stessa, che procede al suo passo, senza dover correre con un numero di pettorale.
Quel famigerato traguardo è meglio raggiungerlo il più tardi possibile.
“Si vince e si perde al gioco, non nella vita di una comunità.” Bellissimo! Grazie!
All’attimo direi:
Sei così bello, fermati!
(Johann Wolfgang von Goethe)
Io al poeta direi anche:
“Non importa se vai avanti piano, l’importante è che non ti fermi.”
(Confucio)
Forse le gocce si aggrappano perché aspirano a diventare lampadine…Resistono per illuminare, accendere il poeta…
Il salto quantico di tutte le cose troverà la sua individuazione nel presente dell’esperienza che è il passaggio intermedio tra “l’ultimo e il primo”,
necessario affinché la psiche umana percepisca la realtà di una goccia e non la sua “lontana” personificazione. E’ l’escatologia della realizzazione, l’incontro tra lo spirito e la materia, che misura “un giorno solo come mille anni e mille anni come un giorno solo”.
A volte basta liberarsi del tempo.
Caro Poeta, da recenti studi apprendo che la pioggia è un ciclo di rotazione o feedback; in geografia fisica si dice che questo tipo di ciclo (diverso dal ciclo della materia o dell’energia) è un circuito nel quale l’output di un elemento costituisce input per l’altro, trasformandosi nella forma da un passaggio all’altro. L’acqua quindi, lo sappiamo, sa adattarsi… sa diventare leggera e arrivare in troposfera, condensarsi e tornare (ma poi: torna o parte?) ; si sa infilare sotto terra e stare a serbatoio segreto, sgorgare da qualche parte quando le pare, diventare impetuosa energia sfruttabile o starsene zitta per decenni raggrumata da temperature ostili. Sa negarsi nei deserti, sa esser pericolo tra mari fiumi e tornado incazzati… mi chiedo allora se siamo tutti un po’ così in questi anni spenti dalla miseria; mi dico che se sono arrivata all’età che ho, in questa città spezzata, forse lo devo al segno zodiacale che ne incarna l’elemento, eppure sempre mi sento come quella goccia di pioggia pronta a staccarsi al dondolio di vento. Oggi so che va bene anche cadere; tante volte sono piombata a terra, tante volte ho fatto il feedback tornando a esser goccia… esser pioggia tuttavia porta a viaggiare, non è poi così male, se star fermi vuol dire subire le intemperie di tempi non meritati. Un bacetto umidiccio dal tuo tappino. B.
Grazie magnifiche gocce, almeno così essere al margine rimargina.