Nella mia adolescenza il libro era un oggetto equivoco.
Chi ne esibiva uno sottobraccio e sfrontatamente aperto in un vagone di seconda classe, era scrutato con sospetto.
Si voleva dare delle arie, era volentieri deriso, come lo stravagante che va in un giorno di sole con l’ombrello aperto. In libreria entravano solo gli esperti, il libraio dietro al banco faceva al cliente un esame di ammissione, al termine del quale l’acquisto era la gentile concessione a uno sprovveduto. Tra gli scaffali frusciavano incravattati professori con il cappello in testa, niente donne, non erano previste. Il libro era il contrassegno losco di una setta, poi costava caro, poi era ingombrante. Mio padre lettore assiduo, cliente fisso di un solo libraio, non poteva parlare con nessuno delle sue letture. La sua passione si svolgeva in clandestinità. Tra conoscenti e amici dissimulava, non faceva cenno. Lo faceva con me, ammesso a condividere i suoi scaffali, lettore di una piccola parte di quell’abbondanza. Ma con me non trovava soddisfazione, ero un imbuto, funzionavo a senso unico.
Se in una famiglia si sentiva dire che il rampollo aveva aspirazioni di scrittore, poeta addirittura, si procedeva a cure ricostituenti. Difficile da credere, oggi fanno fortuna corsi che promettono carriere letterarie.
Per incrementare le vendite in quei tempi magri qualche casa editrice spediva venditori ambulanti su e giù per cortili e scale. Dovevano tornarci molte volte per ottenere il pagamento. Poi qualcosa capitò: l’avvento del tascabile e delle librerie Feltrinelli. Insieme al costo più leggero una generazione ribelle fino agli urti di piazza, frequentò in massa librerie, divorando saggistica politica, pretendendo pure di leggere gratis. La cultura fu scippata dal suo piedistallo e finì sul marciapiede. Entrata in massa nelle prigioni, arrestata per manifestazioni non autorizzate e scontri, la mia generazione portò dentro le sbarre il più micidiale arnese di evasione e scasso, il libro, appunto. Non c’era, non esisteva un libro dentro quelle prigioni. Il popolo insaccato là sotto doveva restare analfabeta, in fondo alla scala, più giù dell’ultimo gradino, nel suo sottoscala. Portammo libri, seminammo pagine. Molti detenuti comuni si accorsero di essere prigionieri sociali di una società fondata sulla disuguaglianza. Il libro liberava.
Oggi è un oggetto domestico, alcune tirature raggiungono il milione di esemplari venduti, oggi il libro fa parte dell’abbigliamento, spunta da borsette, zaini, tasche, buste della spesa, da ascelle assorbenti.
In televisione diversi conduttori parlano di libri e li promuovono. Allora una soporifera e senile trasmissione, «L approdo», scoraggiava pure un lettore accanito come mio padre.
Si contrae per via di Internet il mercato del disco, prodotto di stragrande superiorità commerciale, mentre il libro allarga il suo mercato e resta senza sostituzione. Leggerlo sullo schermetto è scomodo, stamparselo produce un ingombro di fogli squinternati. In piena economia di crisi le catene di grandi librerie continuano a investire aprendo spazi più vasti e accoglienti. Il libro resiste, non ci avrei scommesso una caramella.
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Ero tra il pubblico che ieri sera ha ascoltato Erri de Luca a La Villa – Val Badia. Non ho avuto il coraggio di dirgli che i suoi libri sono per me come quelle piccole fontane d’alpeggio, che si trovano, se si ha fortuna, lungo le salite di montagna. Esse ci permettono di sostare a guardare il cammino fatto, ci ristorano per affrontare rinfrancati la salita che ancora manca per giungere alla meta. Sono un dono al nostro essere viandanti.
A proposito di libri … grazie
Ogni mattina, intorno alle 6 e 30, questa giovane mamma si alza dal letto, si fa un cappuccino, inforca gli occhiali , afferra un tuo libro e si dedica a se stessa, alla sua anima e alla sua mente, leggendoti mentre si dondola in terrazza. Aspetto con ansia ogni mattina per godermi quell’oretta in cui il mondo ancora dorme ed io lo osservo. Lo osservo attraverso i miei occhi di scrittrice che diventano i tuoi quando ti leggo. Era un bel po’ che cercavo un modo per ringraziarti, per renderti partecipe delle piccole ma immense magie che fanno le tue parole,e poi sono approdata qui. Spero che tu mi legga e che continui a scrivere perchè ne ho bisogno. Un abbraccio..Anna
L’albero è il sabato del villaggio,
quel che di 7 è il più gradito giorno,
pien di speranza e di gioia:
diman l’utensile la sua corteccia attacca
raggiungerà la scorza che sopra scrive.
Un libro ne farai seguire
che libri sentimenti
di fraternità e amore.
Così può sopportare l’albero il tuo taglio,
perdona l’immortalità cui lo consegni
e questo fa il lettore
Sopravvive appunto come la caramella!
Incredibile. Mio padre, matematico, era ed è un avido lettore di misteriologia. Aveva una biblioteca di mille libri di ufologia, matematica, parapsicologia, libri di guerra e di alchimia. Ho cominciato a leggere la sua libreria a quattro anni. Per noi il libro era il mistero più bello, e così è rimasto.