Ho conosciuto uno scultore pugliese, Massimiliano Di Gioia. Mi ha raccontato la sua impresa.
Per tre anni ha martellato e scalpellato un blocco di marmo, un bianco di Carrara alto più di tre metri.
Ogni giorno ha accumulato ai suoi piedi frantumi tolti dai suoi colpi. Aveva in mente una forma da raggiungere all’interno della materia chiusa.
La sua scultura è una traduzione, passaggio da una lingua alla propria. Il marmo è lingua classica, precisamente greca, dalla quale proviene anche il nome. È roccia detta metamorfica, perché cristallizza. Un uomo ne realizza la metamorfosi in statua di un colosso.
Con un milione di colpi ne estrae la figura di Talos, gigante leggendario dell’isola di Creta.
Gli occhi dello scultore si devono fermare, chiudere un poco, distogliersi dal bianco. Guarda in su, gli alberi, un gatto su un tetto, poi il nero di una tazza di caffè.
Fiato, capelli s’impregnano di polvere di carbonato di calcio. L’opera è operaia.
L’opera è marinaia, finirla è sbarco che fa barcollare.
Darsi un compito di remoto orizzonte, fare il primo passo, la prima scalpellata per sbozzare: in queste mosse c’è la nostra piccola grandezza umana. Fa di una persona un artefice.
Questa pagina è un omaggio a Massimiliano Di Gioia, uomo che sta dando alla sua città, Ruvo di Puglia, un monumento che la farà ricordare.
Ho letto alcuni dei suoi libri ma non riesco davvero a immaginare cosa la porti a lodare questa “opera”. Parlo da ruvese ferita, perché sappiamo benissimo, e lo sa anche lei, non menta, che non si tratta di un’opera d’arte, e che questo manufatto è stato imposto ai cittadini, che non lo gradiscono. Può non rispondere o può cancellare il mio commento, ma non può offendere la nostra intelligenza, perché lei per primo è un uomo intelligente. Che tristezza
Caro poeta, Ruvo di Puglia è a pochi passi dal paese natio dei miei avi, Corato. È strano un pugliese di quelle parti con lo scalpello in mano. Se devo immaginare un artista di là mi immagino più uno che scolpisce legno di ulivo, non la pietra. Ma tanto è. Quel che racconti mi ricorda Giovanni Pascoli e i suoi Conviviali, (lascio a te scoprire quale passaggio ☺️). Gli scultori sono i peggiori visionari, assimilabili ai contadini. Sanno vedere l’opera finita prima ancora che nasca qualcosa. Quasi quasi mi rimangio l’incipit… Non è poi così strano che uno circondato da ulivi sappia tirar fuori dalla pietra una forma futura. Del resto hanno madre natura che li ispira attorno. Ciao poeta