Ai suoi inizi il cinema era una prolunga del teatro. La macchina da presa coincideva con il punto di vista dello spettatore in sala, da una distanza in campo lungo.
Un regista americano, Lawrence Griffith (David Wark) muove per la prima volta la cinepresa in mezzo alla scena, avvicinandosi ai volti degli interpreti. Così il cinema di stacca dal teatro e se ne affranca.
Si affacciano e si affermano nuovi punti di vista sulla realtà. Nei primi film dedicati ai pionieri del Far West, i pellerossa erano i pericolosi selvaggi da sottomettere. Negli anni ‘60 e ‘70 vennero i film che rovesciarono la precedente visione, raccontando la storia di un colonialismo bianco che annientò popolazioni e civiltà antiche.
La storia aggiorna le sue versioni, abbatte statue, le sostituisce. Ho visto di recente “Geronimo”, film sulla figura di un capo degli Apache, che nella sconfitta tiene in equilibrio le ragioni di una resistenza all’oppressione.
La sommaria definizione di anni di piombo include più di un diffamato decennio di vita civile italiana, dal 1969 in poi. La formula è adottata dal titolo di un film tedesco.
Non è spuntato da noi il punto di vista di un’altra cinepresa in controcampo che aggiorni la versione su quel periodo. Per quello che ho imparato dalla storia, so che succederà. Forse spetterà al cinema offrire la variante.
In “Memoriale degli anni felici” Luis Sepulveda, che fu militante cileno in quegli anni dentro la sinistra del mondo, scrive: ”Ci fu chi da un comodo e vigliacco scetticismo si godette un tempo morto che chiamò gioventù”.
La sua invettiva coinvolge anche il mio punto di vista.
Il 24 Maggio ascolto alla radio l’intervento di una senatrice che spiega quanto ingenua sia stata la scelta, da parte della maggioranza in Senato, di legalizzare, a norma di scienza, il termine “biodinamico” per classificare il “metodo esoterico”, applicato in agricoltura, ed equipararlo, per disvalore, al metodo biologico, già da tempo sdoganato da Barbanera e soci, tra cui quel contadino di mio nonno ed eredi. Non ricordo però che abbiano mai parlato apertamente e coscientemente di partecipazione mistica con l’oggetto terra.
La voce della scienza ha toni molto alti, ultimamente, e risuona nei palazzi della politica, nei quali tenta manovre di adattamento: dai toni si capisce quanto debba gridare per farsi sentire e a quale punto sul grafico si collochi la sua capacità di reggere ai contraccolpi del cambiamento epocale, sotto i quali rischia di essere equiparata ad un tentativo magico di interpretazione degli umori sotterranei. Quando si vuole portare dio nella terra, è segno che quanto è all’esterno sta disperdendo la propria carica emotiva in contenuti che non possono spiegare in un solo “nome” tutto quello che, apparendo, nasconde in sè.
Jung (possa perdonarmi!) direbbe che questi sono fenomeni storicamente importanti in quanto prodotto di correnti inconsce della psiche collettiva, che aprono le porte ad una nuova era. Nell’arditezza di questi movimenti di pensiero, perchè altro non sono che movimenti di pensiero, ” si esprime la spregiudicatezza e l’incrollabile sicurezza dello spirito inconscio che con il rigore di una legge di natura provocherà una trasformazione ed un rinnovamento spirituali”. Di fatto stanno eliminando la scienza come “mediatrice di salvezza” nel tentativo di ristabilire il rapporto personale con la natura: lo “sgretolamento” nelle sette è la logica conseguenza di questo processo di “soggettivazione”, la cui conseguenza più estrema è l’individualismo…
Cosa c’entri il terrapiattismo con la sommersione dell’Io nel dinamismo inconscio, non l’ho ancora capito e nemmeno i terrapiattisti, i biodinamici, miei contemporanei. Ma è questa la loro posizione oggi nel panorama psichico globale ed un esempio la loro pretesa, in luogo di una sintesi che accontenti al massimo ribasso le istanze della coscienza, che vengano accolti e integrati nelle forme concettuali tradizionali gli istinti arcaici che il rinnovamento – o che si voglia chiamare P.N.R.R. – suscita con sé.
La resistenza della Scienza si leva contro il carattere informale e caotico del dinamismo e mostra di avere un’anima, di non essere un ideale sorpassato in… partecipazione. Non la risoluzione nell’omissione del nome “biodinamico”, a mio avviso pleonastico, ma nella divulgazione, nel dibatito in politica, per una presa di coscienza delle dinamiche inconsce dovute ad un periodo di “dominazione” unilaterale della Scienza! Sono coercitive, inoltre, le pretese di riconoscimento ai fini utilitaristici, che non portano vera innovazione.
Ma siamo nel solco, tutti, passibili di deragliamento, unico evento a cui nessuno assurgerebbe se stesso a simbolo, nonostante la luna piena.
Rileggo a tal proposito l’ottavo capitolo de “L’Italia degli anni di piombo” dal punto di vista di Montanelli e Cervi e credo che la distanza con l’oggetto dell’osservazione sia utile oggi ai fini di un giudizio e di una descrizione obiettiva dei fatti, che altrimenti ricadrebbero nel cono d’ombra di un tristissimo “in sè”.
Caro poeta, imparo dal tempo rosicchiato degli studi che la storia è sempre in movimento, ma non rilascia tutto non è certo un’eruzione. Molto di quel che dovremmo sapere è sepolto più dalle vergogne dell’uomo che da successive testimonianze. Marc Bloch diceva che “il tempo è il plasma in cui si muovono i fatti umani” “. Aggiungerei:” anche i disumani”. Se c’è un po’ di cura alla vergogna è il tempo che passa, abbinato alla voglia di voltare pagina è il buon metodo per scoprire della storia umana un apporto in più di quel che in passato è stato concesso. Così è per gli archivi i Stato secretati, così sarà per quelli Vaticani, così sarà per tutte quelle storie che la vergogna dei vivi vuole inutilmente negare. Verrà il tempo anche per gli anni di piombo di far saltare lo smalto e scoprirsi di rame, come tu hai suggerito. Un abbraccio forte tesò