Sono di gusti scarsi, non mi attirano intingoli e ricette, preparazioni sopra vari fuochi. Dieci minuti devono bastare a mettere la mia pietanza in tavola. Abitando le città in un’altra vita, ho avuto degli incontri alimentari.
A Torino ho imparato la bagna cauda e i bolliti, a Roma code alla vaccinara e carciofi alla giudìa.
In quei posti di sommario arredamento ho goduto sapori tramandati. Preferisco locali dove chi fa servizio ai tavoli veste peggio di me. Da trasandato, scelgo chi non ci bada. È la mia selezione naturale, prima di entrare, sbircio.
Il mio prototipo è stata un’osteria di San Lorenzo, martire su graticola. La tovaglia di carta su tavolo di legno, vino sfuso, niente bottiglie, tappi, etichette, annate. L’oste era di Velletri, soldato in guerra d’Africa, prigioniero degli Inglesi in India, tornato in dopoguerra, dopo il ‘46. Non aveva potuto aggiungere il suo voto a quello degli Italiani sbarazzatisi con un referendum di una monarchia miserabile.
La lista di pietanze era detta a voce, non tutti sapevano leggere: due, tre piatti del giorno. La moglie dell’oste in cucina riempiva le scodelle fino a traboccare. Minestra e pollo lesso oppure le uova al tegamino erano la mia scelta. Ripulito e sgrassato da me col pane, non serviva lavarlo, il tegamino. Bevevo un mezzo litro bianco amaro di solfiti, e però vino vero.
Sono stato avventore assiduo per diversi anni, per me una mezza patria. Ai tavoli sedevano marmisti, falegnami, pensionati. A disposizione c’erano vari mazzi di carte, il pasto proseguiva con una partitella, in palio il caffè corretto, oltre l’onore.
In qualche ricorrenza si cucinava coda vaccinara, col pomodoro e il sedano. Ne sentivo l’odore dalla strada. Spolpavo con le dita fino a lasciare asciutto.
Era il prodigio storico della scarsità, trasformare lo scarto alimentare di una coda in prelibatezza. Conteneva la proteina, l’ingegno e la rivalsa sui ricchi che potevano permettersi le parti succulente.
Entravo in sala passando dalla cucina a salutare. Non ero da solo, in quegli anni ‘70 un ventenne non poteva starsene in disparte. Nell’osteria si mischiavano le generazioni, in quegli anni contagiosi si era tutti coetanei di un tempo di impazienza, pubblica e privata. Anche gli amori erano impazienti, urgenti come le manifestazioni non autorizzate, che si facevano lo stesso, perché manifestare è un diritto, non una concessione di Questura. Imparavo l’aggiunta del peperoncino, il prezzo da pagare. Alla vicina mensa universitaria poteva sfamarsi anche chi non aveva tessera di iscritto. Gli inservienti avevano imposto l’ingresso libero a chi aveva bisogno.
Il cibo era politico, non più discriminato dal potere di acquisto. Aveva altro sapore. Non era il gratis del paese di Bengodi, era il prodotto di solidarietà civili.
Si organizzavano mercatini diretti, da coltivatori a compratori, saltando fila e trafila di consegne a mercati generali.
Anni di piombo, recita la cupa versione ufficiale che insacca a mosca cieca un decennio abbondante.
Anni d’intensità civile per chi li ha attraversati all’aria aperta.
L’osteria fu ceduta, morto l’oste e sua moglie.
Mi manca? Potrà mancare a chi non ha potuto conoscerne una. La mia l’ho avuta aperta e poi l’ho pure chiusa.
Quando la nebbia scende
il grande Bob Dylan
aiuta sempre
la colonna sonora non può essere che-Desolation Row-in ogni sua versione possibile
Piazza GALVANI BOLOGNA.
comizio di casa pound(che dire ….di casa pound e di EZRA POUND?)
Poteva essere un ghetto senza cantos (un’ora insaccata) non è andata così.
Una piazza sbracata ha avuto la meglio.Complimenti a tutti i cantori che hanno
partecipato al divertente happening di sapore antico.
La mia osteria si chiamava “Cristoforo Colombo” ed era un vero porto di mare.
Antichi sapori…..hanno un’anima.Ognuno ha i suoi.
Nutrono i ricordi con dolcezza .Oggi S,Valentino
e io li dedico all’amore
perchè -l’amore è più forte della morte-.
-Tanti antichi dolori, non dovrebbero,ormai,
diventar più fecondi per noi?
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-Chè non si può restare,in nessun dove-
Rilke Prima elegia
Sempre Rilke viene in soccorso nei giorni difficili che siano pari o dispari.
Cibo eroico perché ancora collegato all’appetito…
La Fuggitiva di oggi si chiama Pamela cerchiamo di non dimenticarla troppo in fretta
Manifestare è un diritto?Dal Corriere della sera martedì 12 febbraio
Il primo stop è per Forza nuova.La fiaccolata viene vietata————Quando la polizia tenta di fermare gli attivisti è ormai tardi——il bilancio è di sei agenti feriti.—–
Viene autorizzata la marcia,ma fuori dal centro città.(Il resto si sa.)
Anni di piombo ad alta intensità civile,quegli anni non facciamoli tornare.A cosa serve la memoria?Domanda fondamentale
Il rito antico e sempre nuovo delle cicorie di campagna a metri uno dalla porta della cucina, lasciate là come un mazzo di rose da un ammiratore il quale, con discrezione, si priva della reazione della diva a cui le ha destinate perché proprio da lei possano essere innalzate con molte imprecazioni e dopo, con un di lei gesto di rassegnazione, ricadere sulla mensa benedette in minestra con pecorino. La lenta morte loro!
Avvolge di sé i capelli e le vesti di celebranti e commensali che si avvicendano nei ricordi, quell’incenso di carote, cipolle, sedano, pomodori e prezzemolo. Cosa c’entra con l’atmosfera di quegli anni? L’urgenza di aggiornamenti della tabella delle doppie velocità.
Non so perchè mi è venuto in mente -Nazarin- di Bunuel.Improvvisamente.
Stasera ci penserò.Un film visto forse quaranta anni fa,si riaffaccia ai bordi del cervello e manda lampi intermittenti.
Un film molto bello ma perchè certe immagini , quasi con violenza,si ostinano a passare e ripassare davanti ai miei occhi?
Forse qualche analogia con le tue parole di oggi ?Mi sembra quasi di vederti,Erri,a spolpare- con le dita fino a lasciare asciutto-
Non si può non volerti bene,dico davvero,nel tuo caso mi sembra si possa parlare di -la meglio gioventù- senza retorica,semplicemente.
Cacchio, cercare di immaginare che mangi (finalmente ) qualcosa , è sforzo di fantasia! Se ti fossi accanto ti romperei le scatole tutti i giorni per invitarti a mettere più sostanza addosso… e poi parli di taverne! E di parmigiane a cui dedichi pure un libro a parte in ‘Tre fuochi’. Poi non pare mica, che quando ti riabbraccio ci sei tutto, ma a vederti di profilo soffro! Comunque io non servo, immagino che ci sia già un entourage famigliare che ti sgrida abbastanza attorno, per lo stesso motivo . Racconti di tempi che forse l’appetito te lo procuravano per tensione e allegria, per voglia di stare a tavola a litigar di politica e di sbattere qualche pugno sul tavolo di una partita di carte persa. Oggi… sì, anche a Torino, s’è persa la tradizione della Piola, anche se poi furbescamente qualcuno ha capito l’errore e ha rialzato la serranda. Ma certo che mancano quei posti, da Bolzano a Lampedusa, laddove si è avuta l’ideona di trasformar certi luoghi di culto culinario in fast food o birrerie. Manca la tranquillità e l’odore e il clima di famiglia che questi posti sapevano offrire, specialmente a chi a casa propria non aveva nessuno con cui parlare… vedovi, studenti , operai in trasferta. Pensa, il tuo sistema per scegliere la trattoria lo adottava anche (tieniti forte) G. Agnelli. A Torino la sanno tutti questa storia; in via Mazzini, l’avvocato dopo accurata indagine aveva preso di mira la sua piola casereccia , una piccola trattoria che ora ha cambiato nome. Litigava con il titolare perché non voleva pagare il conto. Gli diceva : ‘ Con quel che ti faccio guadagnare in pubblicità, dovresti essere tu a pagare me!’ . Poi pagava però, era solo un po’ stronzo. Anche lui, nonostante le immense possibilità, preferiva quei posti lì, in barba al ristorante extra lusso che campeggiava appena all’altro lato della strada, e che ancora sta davanti a quella trattoria . Bacini, mo’ vado a infornare la pizza se no mi menano. E mi raccomando: MANGIA! :-*
Quindi ,poi,però,nessuna nostalgia
A volte capita di rincontrare se stessi.Quando mi succede mi dico-anche in quegli anni sono stata felice-
Stupidamente innocente?Forse sì e allora ?si può essere colpevoli di una lunga giovinezza? No.
Ricordanze,,,,,,,,Ricorrenze……..RIdondanze……..
A me capita quando ascolto Ivan Della Mea.
La parmigiana……..
Ho avuto il piacere di cenare in questa osteria in compagnia di Erri e un altro amico.
Oggi il cibo alza gli ascolti in TV, si fotografa e posta sui social con lo schermo di un cellulare e sporca appena il fondo dei piatti perché – si sa – le porzioni abbondanti sono poco artistiche. E intanto si dimentica che il cibo serve esclusivamente a mangiare, azione utile per sopravvivere e quindi perfetta così com’è, senza ambizioni nè fronzoli.
Leggo qui e torno dietro di vent’anni, quando mangiare insieme teneva unite le famiglie, innescava amicizie, creava confronti politici ma senza dividere. Dirò una frase ovvia, ma si stava meglio.
Quasi lo sento il profumo dei carciofi che sfrigolano in padella, il suono rilassante del vino che dalla brocca precipita nel bicchiere dall’orlo sbeccato.
Vestire sobri, chiedere permesso e dire grazie non è da trasandati ma da anime semplici.
Fortuna che esistono ancora e risvegliano dentro un po’ di sana nostalgia.
Grazie Erri.
Vogliamo parlare dei culurgiones sardi con pomodoro, basilico e pecorino?