Me ne volevo andare, staccarmi, sradicarmi lasciando indietro pure le radici.
A 18 anni decidevo di aver finito i compiti.
Avevo studiato al liceo classico, conseguito un’ubbidiente maturità: bastava. Non mi sarei iscritto all’Università, sottoposto ad altri esami.
Era un poco peggio di andarmene: disertavo città, famiglia e futuro apparecchiato.
Non lasciai un biglietto. Lo strappo era così violento che qualunque riga sarebbe stata goffa.
Chiusa piano la porta, non immaginavo di poter tornare a bussare. La triste parabola del figlio prodigo me l’avrebbe impedito.
Ecco la libertà: non sapere dove avrei passato la prima notte.
Non era spirito di avventura, ma l’atto di una profonda dimissione dalla vita precedente.
Prendermi quella libertà non era villeggiatura, ma sbaraglio.
Avevo letto Kerouac, “On the road”. Non so se mi servì. Sarei comunque uscito da quelle stanze, avrei comunque lasciato la città.
Non imitavo, non era America quella che avevo intorno. Anzi lasciavo l’America che girava per Napoli in divisa, sbarcata dalle navi della Sesta Flotta degli Stati Uniti.
Lasciavo l’America dei pasti pronti a tavola, delle lenzuola pulite, delle abitudini alle comodità.
Mi rodeva lo sconforto che si può provare acutamente a 18 anni.
Ho saputo allora che la libertà si fondava su delle rinunce, dormiva in camere di affitto vicino alla stazione in tre quattro per stanza, cercava un qualunque mezzo di sussistenza e che sfamarsi era diverso da mangiare.
Adoro ogni parola, ogni frase, ogni pensiero di Erri De Luca… Ho provato anche:io, anche se in modo diverso ed in tempi diversi, che la libertà si acquista con parto doloroso, così come la vita.