Ottant’anni fa, fine settembre 1943, Napoli insorse. Tutta insieme per una scossa sismica sotto gli stivali degli oppressori.
Dal sottosuolo uscirono i giovani che si erano sottratti alla deportazione in Germania, dai tetti si rovesciarono valanghe di macerie addosso alle truppe tedesche. Al pianoterra le strade furono ingombre di barricate. Gli insorti scipparono le armi alle caserme di polizia e agli stessi Tedeschi.
Non fu rivoluzione, i combattenti non vollero prendere il potere, che subito venne consegnato in mano agli Americani, entrati illesi senza sparare un colpo.
Fu insurrezione di popolo, donne e bambini compresi e indispensabili, corto circuito di collere, privazioni, fu sollevamento di un peso dalle spalle da scaraventare a terra.
Quella insurrezione improvvisa e furibonda salvò Napoli. I Tedeschi avevano organizzato la difesa dentro la città, sgomberata la fascia costiera dalla popolazione.
Mia madre che abitava nei pressi del mare ricordava il povero carico di masserizie su un carro e l’ospitalità in alloggi di fortuna, parola quanto mai inadatta.
Gli Americani si preparavano al cannoneggiamento navale precedente lo sbarco. L’insurrezione impedì la battaglia di Napoli.
I Tedeschi dopo giorni e notti di fallita repressione furono costretti a sottoscrivere una tregua con gli insorti per potersene uscire. Napoli si era liberata di loro e della guerra.
Sono di questa città, nato sette anni dopo quel centinaio di ore di battaglia.
Nelle piazze della gioventù politica impulsiva e irruente degli anni ‘70 ho portato con me l’esempio di quelle giornate.
Si, le persone sono indispensabili ed è indispensabile riprendersi il potere.