Finché ci sono code di persone in fila al Banco dei Pegni vuol dire che un rimasuglio di beni esiste ancora. Quando saranno più rade, sarà cominciata la fame, terzo dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, nel libro di Giovanni (6,1-8). Nella storia umana è dipesa da guerre e carestie. Ai giorni attuali se ne sta inaugurando una prodotta da un’epidemia.
La scarsità di cibo è la più profonda mortificazione della persona umana. È stata procurata perfino apposta nelle prigionie, nei campi di concentramento, negli assedi. Gli affamati in concorrenza spietata per la vita, si ribellano di meno.
Nella scrittura sacra si legge di madri che si cibano dei loro figli morti, nelle città circondate. È la più nitida estremità della fame.
È il più antico terrore, la ragione del principio di scorta e di risparmio. Chi ne patisce se ne vergogna, per la disperazione di non poter badare a se stesso e ai suoi. Nella guerra di Bosnia negli anni ‘90 i vecchi si sentivano colpevoli di ogni boccone inghiottito, perché tolto a figli e nipoti durante i pasti diradati.
Ho sperimentato su di me per delle settimane la mancanza di cibo. Era un’astinenza volontaria, non una privazione, non mi mortificava. Aveva la dedica di uno scopo e poteva essere interrotta. Non era fame, che è maledizione e non ha data di scadenza né di riscatto. Mi resta il ricordo di un abisso sul quale mi sono affacciato, in tutto diverso da quelli che ho invece scalato.
Guardo con gli occhi di uno del 1900 le file davanti al Banco dei Pegni, mute perché non si fraternizza tra umiliati, si cerca al contrario il contegno di una dignità, vestendosi meglio possibile. Sono file in attesa da ore prima che apra lo sportello. L’orario di solito soltanto mattutino, è stato prolungato al pomeriggio, a causa di richiesta pressante.
È tempo di fornitori di manna, nutrimento indispensabile a chi ne è privo. Quella prima provvidenza si spargeva fuori dell’accampamento, in identiche parti per ognuno. Toglieva dal bisogno e faceva uguaglianza.
La nuova fornitura, oggi alla portata di molti, deve fare altrettanto.
…..é vero assai é finzione aleggia sui nostri corpi corva femmina corvo non conosciamo le cause se non per ampi improbabili arrotondamenti zittiamo l’orecchio siamo capaci di vedere l’effetto ? Quale cura lenisce ? ….oggi malamente addomestica comprime corpo e anima quasi che ” voglia ” polverizzare la parola e del pensiero carne da grigliare ….altrimenti che pegno sarebbe sparito il tempo del ogni d’amore
Majò?!
Maiiúí vestirikiíúí mai….cordialmente
Bene, la popolazione congiunta sta creando la domanda che reindirizza il mercato verso beni collettivi non congestionabili…
Da qualche parte leggevo che”chi ha il coraggio di disprezzare il denaro e sa mettersi al di sopra della ricchezza è simile a un giusto che detronizza un tiranno”… Che dovrebbe più spesso mettersi in fila con gli ultimi per creare una nuova concorrenza ma questa volta per sapere cosa realmente accade intorno.
(manie da quarantena, lo studio dell’economia reale!)
Ci salveremo grazie ai veri azionisti (chi agisce)!
Perché disprezzare il denaro?
Caro Erri,
vedo scritta finalmente da qualcuno la parola che fa tappa spesso nella mente da qualche tempo. No, non è la scarsità , con quella ci convivo da tempo; la conosco e la condivido con la gente della mia città che tu hai conosciuto in tempi meno fetenti. La parola è “bisogno”. Forse questa epidemia ha smutandato tante ipocrisie, tante superficialità di cui tutti ci nutriamo chi più chi meno, a seconda delle possibilità per sopportare meglio tante angherie. Abbiamo bisogno davvero di tante sovrastrutture, di tanti oggetti, di tante minchiate? No, ma ci siamo abituati al senso della parola “Bisogno” in senso fin troppo generale, tanto che ormai è diventato un “vorrei” qualsiasi. Il bisogno quello vero attiene alla sopravvivenza: bisogno della bombola di ossigeno per respirare, bisogno di uscire per camminare e basta, bisogno di clienti per mandare avanti il lavoro, bisogno di agricoltori per raccogliere negli orti, bisogno di lavorare per sopravvivere e mantenersi, bisogno di studiare e di mandare i figli a scuola…bisogno di abbracciare i tuoi cari. Il Covid ci ha rimesso a posto il vocabolario: tutti abbiamo bisogno delle cose essenziali, e nessuno nemmeno i più ricchi possono pensare di non dipendere da qualche meccanismo di inerzia sociale. E’ capitato anche a me nella vita di dover vendere qualcosa per tirare avanti, capisco il silenzio della mia gente ai Pegni. Nel film di Totò, “Miseria e nobiltà” la moglie del coinquilino tentava il pegno delle lenzuola; poco dopo anche il suo amico Pasquale pensava di dar da mangiare a tutti col pegno di un cappotto tarmato; faceva ridere la lista di cibo in cambio e le pretese di Pasquale a Totò ( “ tu vedi… se non è fresco: desisti!”) sul cambio della spesa con quello straccio. Ridendo ridendo tocca a noi oggi? Siamo con le pezze al culo? E vabbe’… l’importante è “non puzzarsi di fame” … perché la fame puzza, hanno ragione i napoletani. Mah, speriamo sia solo un momento di confusione Erri, perché qui oltre al futuro scarseggia pure la speranza. Tvb <3 il tuo tappino.
Quanta densità nelle tue parole, quante immagini per un riscatto dovuto e ancora lontano…ciau gigi
testo necessario, giorni fa una lettrice chiedeva perché esistono ancora i banchi di pegno?