La ricamò mia madre 40 anni fa nei pomeriggi che passava in visita a sua madre, nonna Emma. Colore azzurro intenso a fiori bianchi cuciti a sbalzo: certi lavori d’ago non contano il tempo, lo contengono. Mario, cugino fraterno, passava a salutare la nonna e ammirava il lavoro di cucito che cresceva in bellezza, un cielo ricamato a nuvole.
Le visite, i racconti, l’ago, il filo bianco, insomma le forme della parola tempo condussero a termine la tovaglia.
Un pomeriggio Mario era in visita alla nonna quando mia madre aveva dato l’ultima cucitura. Eccola finita, la spiegò come una bandiera, la scrollò e senza piegarla la buttò in braccio a Mario. Disse: ”È tua”.
L’accolse come un dono di cielo, mandato dai suoi genitori morti presto. Ha coperto a lungo le sue tavole.
Mario ha ripetuto due volte questa singolare esperienza; costruire casa per se e per una donna e per due volte uscirsene lasciando stanze e arredo. La tovaglia finì ostaggio di queste circostanze. Mario la riscattò insieme a vari oggetti a saldo di una buonuscita pagata per rientrare in possesso di casa e cose sue.
Ritrovata la tovaglia, con gesto uguale e simmetrico l’ha buttata in braccio a Fiorenza, mia sorella. La richiesta: un invito a cena apparecchiando tavola con quella tovaglia.
Così una sera d’estate all’aperto abbiamo cenato sulla stoffa azzurra a fiori bianchi, macchiandola di vino perché dalla bottiglia va versato con foga nei bicchieri e non centellinato a contagocce.
Così ho saputo da loro due il giro di pista e la storia di una tovaglia del 1900. Nelle case durano dei beni fuori di mercato. Mentre a ogni merce corrisponde una valutazione, esistono oggetti che hanno invece potenza di racconto, un valore liberato dal prezzo. Suscitano persone che hanno lasciato posti vuoti a tavola.
Possono solo essere donati e durante una sera a cena essere accarezzati col dorso delle dita.
un affezione che si spiega insieme alla sacralità del momento che la richiede, meglio se segnata dalla piegatura di qualche anno; richiama voci silenziate per sempre e momenti di comune allegria. Ogni casa ha un suo tabernacolo in cui oggetti come questo rimangono e si tramandano per ricordarci affetti e impermanenze.
È un’Europa “smarrita”
È un ‘Europa “smarrita”.
In una tovaglia, semplice e bellissima, la vita che continua ad essere assaporata. Mi commuove.
Io ho un paio di forbici! Una storia che parte dall’Amore tenero di un fratello per una delle sue sorelle, la più piccola. Mio Padre è morto che io ero piccina, la famiglia ha vissuto alterne vicende nell’arco degli anni, infine venti anni or sono da un cassetto sono emerse le forbici, ridotte ad un oggetto ossidato, inservibile. Ho pregato la zia di darmele in cambio di un nuovo paio. Così dal tempo sono venute in mio possesso e come un cimelio prezioso le ho affidate al mio Moletta. Sono tornate in vita anche se porta i segni di quanto l’incuria ha provocato. Già le forbici! Con quelle forbici ho tagliato gli abiti da sposa delle mie figlie. Quelle forbici mi hanno dato la sensazione che mio Padre fosse lì con me a condividere un momento speciale. Forse acquistandole certo non pensava al futuro, ma io sono convinta che un giorno Egli sentisse il desiderio di fare quell’acquisto perché alfine giungesse a me per tagliare proprio quegli abiti, per farmi sentire che Lui mi fosse sempre vicino.
La tovaglia racconta da lontano la storia di un uomo , Mario. Chi era Mario con i suoi sogni e le sue delusioni?
si … quanti ricordi … anni e anni dopo sempre si mangiava con i cari nostri nonni e … nonne, partiti ma ancora con noi, sempre a ricordarsi le stesse “barzellette” che contavano (non tutte purtroppo) ; è sempre un momento unico, … stessa carezza che sospende il tempo, che non e vero che non si derma mai …
“Ho un terribile bisogno della religione. Allora esco di notte per dipingere le stelle”.
(Vincent Van Gogh, mentre ricamava la sua tovaglia, molto simile alla Notte stellata di tua madre… Liturgia del tempo, il ricamo come la pittura: nei gesti ripetuti la bellezza si rivela e si trattiene con noi per abitarci.)
Caro poeta,
ma che bella quella tovaglia, semplice semplice che sa di casa di tutti, di ricordi di tutti. Chissà quante ore spese a stare attente al punto e gli occhi dolenti dietro agli occhiali sempre più spessi… se guardo questa tovaglia ci vedo attaccata mia nonna a ricamare. Anche lei come le donne di un tempo aveva quello come passatempo accanto alle finestre di giornate talvolta noiose, ma sempre produttive (e poi: mica si accendeva la luce elettrica, anche quello era risparmio). Del resto, più che passatempo una volta era l’unico modo per fare un po’ di corredo alle ragazze che andavano spose, mica c’era possibilità comprare biancheria già ricamata (era un lusso di pochi…). Il ricamo come lavoro necessario, il ricamo per dare bellezza a case nuove e vissute e rivestire mobili e letti spesso già provati da altre vite famigliari.
Da piccola, la nonna aveva tentato di insegnarmi a tenere l’uncinetto, e qualche punto avevo imparato a darlo. Ma poi l’urgenza di giochi infantili e i miei ‘ma perché centrini e coperte di lana non li compri già fatti?’ l’avevano giustamente scoraggiata; a undici anni non si può comprendere un’arte millenaria, ne’ il suo valore affettivo. Alla sua morte seguì una spartizione tra figli e nipoti un po’ insolita, dai ‘tiratori’ (cassetti) e dagli armadi sparirono abiti ricordi e … tante altre cose, senza avere tempo di tenersi nemmeno un fazzoletto. Tuttavia ricordo bene che nei giorni di gran caldo usava ancora indossare uno scamiciato bianco in misto cotone e lino con le sue iniziali, L.C. . Una pezza larga e povera che aveva quasi ottant’anni, residuo del suo lavoro di bambina in vista di un matrimonio che per certo prima o poi ci sarebbe stato. Oggi darei tutto quello che ho nell’armadio per avere lo scamiciato di mia nonna, povero, fresco, bello e prezioso, eredità di sorrisi come solo le cose conservate dei nonni sanno produrre nel tempo.
Ciao Poeta mio <3
Sembra l’Europa…, ma è una bandiera di famiglia…