Si definisce onda, ma non ha una sponda.
Appare a mondo fatto, al verso tre della scrittura sacra.
Per accenderla fu necessario: “E disse: sarà luce. (Tre sillabe in Ebraico: ieì or).
Da allora in poi le lettere producono la luce. Prima e senza di loro il mondo è al buio.
Della sua velocità discussero i filosofi, Empedocle, Aristotele.
Poi uomini di scienza, Galilei, Einstein, tra loro Goethe, che morì con il suo nome in bocca.
(Mehr Licht, più luce).
Da lucciola a fulmine, da candela a luna il suo nome è lo stesso.
La nostra specie inventa quella artificiale, dal vocabolo greco “elektron”, che indica la resina dell’ambra.
La sua assenza, per eclissi di sole, arrestò una battaglia. Erodoto ne scrive.
Un suo prolungamento al di là della linea del tramonto, ne concluse un’altra, secondo Giosuè.
E’ diversa per l’ammalato insonne in ospedale che aspetta ai vetri il suo salvacondotto.
Per chi è di turno l’alba è il suo ritorno a casa.
Per l’amante che deve dileguarsi prima del suo arrivo.
Ne scrivo in un solstizio d’inverno, che accorcia i bordi a oriente poi a occidente e fa sentire breve la durata del tempo.
Ne scrivo perché sono di Mediterraneo e l’ho vista salire dal mare dell’infanzia, poi da vetrate opache di un’officina satura di gas e di frastuono.
Sulla misura di sua figlia, l’ombra, Talete calcolò altezze di piramidi.
Alla domanda se è venuto prima il giorno o fu la notte, la risposta è la notte, fervida, universale e madrelingua dell’astronomia.
Nel corpo umano esiste una clessidra che va secondo il ritmo luce/buio.
Esiste nelle piante, nelle maree, esiste nel respiro e nell’amore.
Esiste in queste righe scritte prima di giorno, che scorrono a svuotare la clessidra, insieme all’anno bisestile ‘20.
Caro Erri, personalmente penso che Dio ha sbagliato a creare la specie umana, bastava che si fermasse alla bestia. o alla luce e basta. il lavoro di un solo giorno. Ma come dice Lui stesso:” Ho sbagliato a creare l’uomo”, quanto disse Zeus, se è per questo. Però il male è fatto. Accettiamolo, quindi, e teniamo duro! State tutti bene quest’anno e l’altro e lei Erri, ovvio…. aiutando chi ha bisogno di luce e sta nel buio. un amico sconosciuto.
– I miei pensieri -, disse il viandante alla sua ombra, – mi debbono indicare dove io mi trovi ma non mi debbono rivelare dove sto andando. Mi piace l’incertezza del futuro e non voglio morire di impazienza nel pregustarmi le cose promesse. – (da La Gaia Scienza di Nietzsche)
Tuttavia la clessidra scorre perché altro non desideriamo che di rivedere il sole, questo “sigillo”, questa conferma. E come il sole “tramontare”, non per “ritornare nella propria gabbia”, ma per discendere tra gli uomini e con loro vivere delle risorse che la “congioia” mette a disposizione.
Caro Poeta, delle tante cose che hai scritto sono rimasta affezionata anche a questo passo: “Amo febbraio che rosicchia luce al sole, lo trattiene di più giorno su giorno”. Per chi vive a nord la luce è sacra. Nonostante l’età non è con il freddo che ho dovuto contrattare l’esistenza per le giornate d’inverno quanto piuttosto con la mancanza di luce, e non ci ho mai fatto pace. Nei turni di notte in fabbrica, così come negli anni di scuola serale, la mancanza di luce aveva un diverso peso, ma sempre ne aveva, soprattutto nel primo caso in cui ti chiedevi se valeva davvero la pena buttare via il sonno e il sole per quattro soldi a paga interinale (ho poi risolto che no, non ne vale mai la pena). Ancora oggi, per niente rassegnata a questa sottrazione, vivo i mesi invernali con difficoltà; di pomeriggio con la scusa della sigaretta esco dal portoncino dell’ufficio alla stessa ora ogni giorno e guardo in alto per vedere a che punto è il giorno, se sta rotolando nel buio o se resiste qualche raggio ritardatario. E’ così bella quella luce che non serve a nessuno, fatta solo per tornarsene a casa e scaricare i pensieri fastidiosi come la sabbia tra le dita dei piedi. Non serve a niente dibattersi, vero? E del resto buio e luce hanno il proprio spazio condiviso nell’anno in modo equo e impercettibile, un po’ come l’amore e l’amicizia o la fortuna e la sfiga nel corso della vita…tutto sta ad accorgersene, ma mica siam bravi noi. Consideriamo normale e scontato aver luce; ma quando ci viene sottratta ci lamentiamo, senza ricordarci più dei raggi che ci hanno scaldato fino a poco prima. Luce è tante cose, tutte quelle che hai elencato tu più chissà, altre mille… per quanto avverta fastidio per la sua mancanza negli inverni torinesi, ho anche da ammettere la carenza di luce diurna permette alle stelle di affacciarsi in anticipo alla ringhiera della notte, e allora che il buio sia solo il sipario per un nuovo giorno ti sembra possibile. Un abbraccio allora al mio poeta dal mancorrente instabile di un anno passato male, buio, buttato come le notti di fabbrica; e speriamo che abbiano ragione le parole di Eduardo, “Addà passà a nuttata”, un po’ di luce la meritiamo tutti. Buon anno nuovo tesò, il tuo turacciolo. 😀
Leggere “notte madrelingua dell’astronomia” per l’emozione mi ha fatto chiudere gli occhi e, ciononostante, nel buio essere invasa dall’inconfondibile luce che – sempre – mi spalanca dentro una finestra quando incontro i tuoi versi.
Caro Erri, ho più volte sentito raccontare di una luce così – oserei scrivere divina – da qualcuno che è stato molto vicino alla morte e poi, per qualche oscuro motivo, è tornato ad essere al mondo.
Ho chiesto ulteriori spiegazioni, volevo saperne di più. Non ci sono riuscita e forse è giusto così.
Ognuno fa la propria esperienza della luce, personalissima, e a qualsiasi altro essere umano non è concesso comprendere o spiegare.
Ma è meraviglioso ascoltare da spettatore. La sensazione è quella di essere completamente certi che dentro il nostro corpo conserviamo qualcosa di immortale, dopo che l’ultimo granello sarà passato attraverso la clessidra del tempo.
Che l’anno nuovo ce ne porti tanta – auguri Erri, che tu possa continuare a donarne a tutti noi, come sai fare. Un abbraccio resistente – gigi