Invitato da Feltrinelli alla riunione dei librai racconto un paio di titoli di prossima uscita.
Il primo è una raccolta di poesie politiche e civili che mi è stata commissionata un anno fa. Le ho dato per titolo: “Grido, non serenata”.
Sono più lettore che scrittore, ho perciò attinto al magnifico casaccio di poesia incontrata nel corso già lungo del tempo.
Ho preferito quella del 1900 che è stata all’altezza di descriverlo.
È il secolo più micidiale della storia umana, di masse trascinate in enormi ingranaggi tritacarne. Ha avuto bisogno di voci capaci di comprimere la storia in pochi versi.
Non è stata una serenata sotto un balcone, la poesia del 1900, ma il formato da battaglia della letteratura.
Il secondo titolo, “Discorso per un amico”, è il racconto di una lunga amicizia all’aria aperta. L’anno scorso mi ero preso il mese di agosto per scalare in Dolomiti. Poco prima del mio arrivo il compagno di cordata, Diego Zanesco, ha un infarto in parete durante una scalata solitaria. Il nodo che legavamo ai due capi di corda è disfatto, passo il mese a scalare da solo e a scrivere di noi due. Parlavamo di libri, di lettere, di viaggi. Uno lo facemmo scalando sei vulcani in Ecuador. Sulle cime si sentiva lo zolfo.
Cos’hanno in comune questo paio di titoli: la strana forma di tenacia che non lascia alle sconfitte, alle perdite, il diritto all’ultima parola.
Scrivere di chi si è perso fisicamente lo trattiene in un limbo, a mezz’aria, e per uno scalatore sarà come vederlo sempre appeso ad una corda, sempre a scalare una montagna. Forse non vuole scendere, penserà il suo amico scrittore (più lettore dice lui) e l’ assenza sarà meno assenza e più attesa.