Non conoscevo Maximilien Luce pittore francese (1858-1941), intensamente coinvolto nelle vicende della sua epoca.
A 13 anni già lavora in una stamperia e assiste alla settimana di massacri nelle strade di Parigi compiuti contro i partecipanti della Comune (1871).
S’impegna nel movimento anarchico, passa per la prigione.
È membro della Societé Des Artistes Independants il cui motto è “Sans jury ni récompense”, senza giuria né premi.
La pittura francese tra 1800 e 1900 non è solo paesaggi impressionisti, ritratti e ballerine, mentre il mondo accelera i battiti della modernità.
Maximilien Luce dipinge i cantieri edili della grande espansione di Parigi, le vampate notturne degli altiforni della siderurgia, l’orizzonte spezzettato dalle ciminiere, gli operai alle funi del battipalo, la prigione, gli uccisi dalla repressione.
Il suo nome è rimasto in disparte tra i celebri della sua epoca. Una mostra raccoglie le sue opere. Si è fatto impregnare dall’epopea dello sfruttamento intenso di masse umane, dallo sconvolgimento dei connotati delle città.
Non immagino quand’è che un pittore sa di aver passato sulla tela l’ultimo tocco di pennello. Quando sa che non c’è altro da aggiungere?
Nel caso di Luce credo che la tela, come il corpo umano, abbia raggiunto l’estremità della stanchezza, che è fine corsa e traguardo.
P.S. Grazie a Andrea e Cetty che ci hanno offerto la visita alla mostra.





A nessuno è imposto di completare l’opera… Non credo che ci si possa sottrarre. L’ultimo respiro sembrerebbe l’ultimo tocco di pennello eppure… Chi legge spontaneamente la vita reale attraverso le lenti dell’arte, lascia lì incustodita la sua penna o il suo pennello, dove se stesso o chi dopo di lui sa che
potrà trovarlo. È che la Storia si ripete e anche in questo ricercare nel Tempo un sodale, che dia un “punto” alla propria esistenza, sta quel senso religioso da non nominare mai, non sia mai che animi e risieda nelle cose intorno , proprio nei pezzi di quel puzzle che è la vita.