In questa foto ai piedi della rozza croce c’è un groviglio di filo spinato arrugginito. Sta per la corona di spine alle tempie di una gioventù salita sul patibolo dei monti più belli del mondo.
Gli eserciti nei secoli precedenti avevano attraversato le Alpi per combattere a valle. Nessuno prima del 1915 era salito per una guerra in montagna. Le più assurde battaglie si sono svolte nelle quote al di sopra dei boschi, tra le pietraie e le stelle.
Una generazione, primizia del 1900, tornó a vivere e a morire nelle caverne.
Durante gli inverni erano sospese le operazioni militari. Si moriva allora di morti naturali, di freddo e di valanga.
In Dolomiti mi aggiro tra resti di postazioni difensive, passando per le cime dopo le scalate. Mi fermo un minuto, mi siedo su una pietra, immagino l’ascolto di voci di ragazzi, vissuti brevemente in un luglio di cento anni fa.
Mio nonno Adolfo De Luca è stato qui, da qualche parte, alcune foto lo tengono tra monti e cannoni, in uniforme. Morí a casa sua pochi anni dopo. Aveva già tre figli quando fu richiamato. Come si usava allora, mise incinta sua moglie prima di partire. Mio padre fu il risultato di quella premura.
L’albero genealogico di ognuno è opera di tempeste più che di gentili innesti da giardiniere. Quando a mio padre toccó il suo turno in altra guerra, fu soldato tra i monti. Questi precedenti mi spiegano che ci faccio tra precipizi e cime.
Il minuto è trascorso, mi alzo e mi avvio in discesa. È passato un secolo e posso scendere senza foglio di licenza, senza disertare.
Erri De Luca
Foto Archivio Fondazione Erri De Luca
Ho appena riletto la lettera di Joe bousquet a Simone weil del 2 maggio 42. Di li traggo
‘divieto categorico ai combattenti di fermarsi presso i feriti. Nulla autorizza un soldato che si batte a raccogliere i lamenti o le raccomandazioni di un soldato che muore. Quel contatto con la legge della guerra mi parve più terribile della battaglia stessa. (…) La conversazione con un moribondo lo restituisce a se stesso. (…) A un uomo che altro non ha da temere se non la morte non imporre la visione dell’agonia. (…) I soldati, probabilmente preoccupati di conservare intatte le loro forze, evitavano il contatto con i feriti.’
Ma è agghiacciante! Sai se analoghe regole valessero anche in altre guerre… ad es. in Vietnam?
Non lo so.
ho vagato per vette, imbattendomi spesso in quei cunicoli difensivi. Nel silenzio maestoso della montagna, il cuore spalanca un inconsueto udito e senti allora voci lontane….Grazie, Erri.
Erri, sempre le sue parole e i suoi scritti di montagne mi fanno vibrare: mi ripetono la poesia e il rispetto che i genitori mi hanno trasmesso fin da piccola, e che mi auguro di aver ribaltato su mio figlio. Ma se da adolescente la conquista di una cima o di un passo alpino mi rendeva fiera, ingigantendo a dismisura la mia autostima, in età adulta le stesse sensazioni si abbinavano al senso di frustrazione pensando al sangue raggrumato sotto la terra calpestata. Sangue più recente, perché io alludo alle Alpi Occidentali, cimiteri delle lotte partigiane. Mi pesa il senso di colpa di appartenere, privilegiata senza alcun merito, alla generazione di chi la guerra non l’ha vissuta, ma nondimeno con ottusità continua ad esportarla altrove.
…………e mi trovo in un Europa così turbolenta affannata problematica.
SPeriamo non ci sia più bisogno
di sacrifici umani dopo cento anni
in cui i nostri padri e le nostre madri
hanno visto precipizi così profondi e
risalite e cime altrettanto sorprendenti.que sera ,sera….
Che posto strano e trasparente…A guardarle te le senti addosso quelle spine, dolore di guerre di ogni tempo. Quelle pietre ammonticchiate ad altare somigliano ai sepolcri improvvisati, ultima cura di una vita che sparisce improvvisamente alla vista dei rimasti…e quella croce bianca di tempo sembra aver navigato tanto prima di finire incastrata e sbilenca a guardar quel filo spinato.Ma altri agenti l’avranno resa bianca, anche la paura di quei giovani rimasta attaccata al legno, e più andata via. Avrei voluto sedermi lì con te a godermi il silenzio di quel posto, col tuo di compagnia. Solo dopo quel minuto ti avrei cercato un sorriso azzurro 😀
Mio nonno concepì mio padre prima di partire per il fronte ,orgoglioso della sua divisa e del suo amor patrio,al ritorno si iscrisse al partito socialista e strappo le foto che lo ritraevano in divisa
Teresa berlenda
La mia nonna materna, classe 1893, aveva sei tra fratelli e sorelle; contadini ma non in terra loro. Un fratello, Giovanni, si diceva non più tornato dalla grande guerra, non ho mai sentito da dove, come. Si diceva e raramente: è morto in guerra. Uno di sei figli, dal tono rassegnato sembrava come fosse un tributo necessario, usuale per una guerra, quasi il minimo. Uno su sei. Non ho mai sentito parole pacifiste, di rammarico per le guerre, la vita era comunque difficile, un azzardo, la guerra uno dei mali del vivere. Dal lato paterno, erano 4 fratelli e 1 sorella, avevano una cascina: sono rimasti tre fratelli perchè gli altri due sono morti di qualche condanna del tempo, chissà la spagnola o la difterite. Quindi 2 su cinque e senza la guerra. Le foto in divisa di mio nonno paterno, un ragazzo del ’99, trombettiere del genio, le ho tenute da parte e le ho fatte vedere ai miei figli. Adesso i miei figli lavorano in svizzera, lavori faticosi in campagna, gli italiani sono tornati emigranti.
«Questi precedenti mi spiegano che ci faccio tra precipizi e cime.» Le ragioni o le cerchi o ti sono loro a cercarti. Testo profonde e appassionato nel suo interrogarsi
Fili irti di spine, incrociati ai pali come forche, percorsi dalla luce della morte. (Emanuele Cappellini)