Chi scrive libri è di solito una persona molto privata ma pure una strana figura pubblica.
Le viene attribuito uno sguardo più intenso sul mondo, capace di descriverlo a più alta definizione.
Per la natura della sua attività questa persona è sola, ma si trova a stare come la sentinella di un avamposto, che per prima avvista ed è a sua volta avvistata. Pure se abita in una lontana periferia, si trova in un’invisibile prima linea.
Questa persona con la sua pagina e con la sua voce non si nasconde e non si sottrae, perciò è facile bersaglio per le autorità insofferenti di parole a loro contrarie.
Questa persona, Boualem Sansal, si trova imprigionata in Algeria perchè l’accusa non sa distinguere tra la persona fisica e le sue affermazioni. Crede perciò di poterle rinchiudere insieme al loro autore. L’effetto al contrario è di ingrandirle.
Allora non sono qui per difendere le parole di Bouamel Sansal perchè esse sono libere e soffiano ancora più forte.
Sono qui a difendere il corpo dello scrittore imprigionato per uso di vocabolario sgradito alle autorità.
Mi sta a cuore il suo risveglio al mattino nella cella che gli ribadisce la gabbia, dopo la notte in cui il suo corpo è stato libero nel sonno.
Aprire gli occhi, cercare gli occhiali lasciati nelle scarpe, il posto più sicuro, infilarci i piedi sapendo che non possono portare da nessun parte.
Perché sono i piedi la parte più imprigionata del corpo.
Inaugurare il giorno cercando di ricordare un sogno della notte, solo per prolungare quella libertà.
Ho solo questa voce per aprire le molte serrature che negano l’uscita dal portone.
Ho solo questa voce per bussare a quell’uscio e stare ad aspettare che il prigioniero scrittore Bouamel Sansal torni a mettere i suoi passi in linea retta, senza cortile e senza muri intorno.
Prego che la parola di chi porta la luce illumini le menti e i cuori chiusi, questo siete voi scrittori.