Torno a leggere i capitoli del libro di Geremia/Irmeiahu.
È ancora un ragazzo quando la voce della divinità lo raggiunge per farne il suo messaggero.
Il profeta è un ripetitore, deve trasmettere.
Ma chi vorrà ascoltarlo? La divinità gli anticipa la reazione: “Chiamerò e non risponderete”.
E allora? Perché alzare la voce all’ingresso del tempio, denunciare i torti, esporsi all’ira?
Perché da quando è stato investito dal compito, non si può sottrarre. Affrontare la pubblica ostilità è l’unica via di scampo all’ardore di quella voce che lo ha estratto dai ranghi. Se ne libera dandole via d’uscita.
A più bassa quota di missione esistono voci che denunciano i guasti pubblici e annunciano le conseguenze. Sono voci agitate, perciò perseguitate per disturbo della quiete, cioè dell’indifferenza.
I profeti sono raffigurati anziani e venerabili. Alla lettera e secondo biografia sono invece giovani e senza titoli di credito.
Nel libro di Isaia/Ieshaiàhu si legge: “Voce di chi chiama: nel deserto spianate una strada per (nome della divinità)”. (40,3).
Nel deserto, nell’isolamento si aprono le piste, e occorrono le voci.