C’è una parola stretta in bocca da chi si allontana per molto tempo da casa, dal suo posto, da ciò che considera patria.
Tiene serrata in bocca la parola ritorno, custodita come un seme in un pugno di terra, mentre obbedisce al verbo andare via.
Conosco il secolo degli andati via, spostati a miriadi da un continente agli altri. Ho visitato i luoghi dove sbarcarono coi bagagli e coi mestieri pronti.
Le loro fotografie scattate allora, registrano facce serie e spaesate che cercano un appiglio con lo sguardo.
Poi nelle nuove strade si ammassavano tra compaesani, conservando le parlate, le cucine, le musiche, le feste, i funerali. Portavano così la patria in tasca.
Il ritorno era una parola ammutolita, però la seminavano e la coltivavano come una pianta. Come facevano? Mandando i risparmi del loro lavoro a chi era rimasto a casa. Così fondavano l’economia e il diritto del verbo ritornare.
L’Italia del dopoguerra è stata rimessa in piedi dalle rimesse dei suoi emigranti, più che dal celebrato piano Marshall. Gli emigranti mandavano valute pregiate, di monete più forti della lira: era il loro riscatto e coincideva con quello dell’Italia.
I ricchi imboscavano i loro capitali in Svizzera, gli emigranti coi loro risparmi costruivano la parola ritorno.
Nei nostri giorni si rinnova un secolo di vaste migrazioni, senza bagagli però, senza la certezza di una destinazione.
Per chi li vede scendere da una nave, sembrano un solo ammasso, ma è un errore di prospettiva. Sono invece singole unità, come le gocce sopra un vetro, ognuna venuta da sola nel viaggio del vento, a bordo di una nuvola, caduta da una pioggia. Ognuna è capace di stare aggrappata su un vetro. Ognuna spera di non cadere in mare, altrimenti dovrà ricominciare il viaggio.
La gran parte dei nuovi ospiti del nostro mondo investe i suoi sforzi per realizzare il più prezioso dei loro verbi piantati all’infinito: ritornare.
Gli anni e le fatiche degli andati via sono giustificati da un solo giorno, quello degli abbracci con chi è rimasto a casa.
Buon pomeriggio, cortesemente mi direste da quale Libro di Erri De Luca è tratto questo magnifico testo?
Grazie!
https://blogs.mediapart.fr/eugenio-populin/blog/300618/erri-de-luca-andati
Poi ci sono coloro che non tornano perché non sono mai andati via; che si confondono con coloro che non hanno bagagli, ma vivono sulla strada che non li conosce perché senza una meta. A volte censire ha l’eccezione di dare dignità alle differenze che rendono meno applicabile a tutti una regola socialmente condivisa e di concepire spazi meno angusti di un campo o di un insieme matematico come deposito di rifiuti speciali umani. C’è che, programmare quegli spazi senza considerare la possibilità che nasca all’interno una pianta di basilico, ci rende tutti un po’ fascisti. Riprogrammarli su base umana ci esclude tutti. Tranne la pianta di basilico che può essere utilizzata come simbolo.
e quelli rimasti a casa finchè abbracceranno l’abbraccio di chi se ne è andato via non si sentiranno perduti….. e a volte anche le parole sono abbracci
Giulio Giorello ci invita all’ironia,arma di distruzione contro i pregiudizi
-sa anche costruire nuovi castelli,a patto che si resti consapevoli che questi ultimi sono _ autentici_ castelli in aria-
Sono d’accordo a patto di aver i piedi bene poggiati a terra.Non tutti possono farlo.E’ bene ricordarlo.Sempre.
Basterebbe smetterla. Ammettere che è solo paura quella che fa concludere che l’imperfezione umana è la giustificazione per il suo eccidio. Paura e vergogna per la povertà. Clara Giovanetti
Le persone che se ne vanno per un lungo momento
(ci sembra ) cancellano la nostra vita.La ritroveremo,
vita preziosa-pensavamo di averla persa.
Non rincorrere il passato,lo perderai.
Lascia che sia lui a tornare-quando lo vorrà fare
obtorto collo…..la natura del potere….da rileggere dalla A alla Z Simone Weil
intanto per questi nostri poveri giorni
-Lo schiacciamento dei vinti, non solo è sempre ingiusto,ma è sempre funesto a tutti,vinti, vincitori e spettatori.-
Pensando ai viaggiatori senza bagagli, senza la certezza di una destinazione,ai bambini rom.ai vecchi rom,……….
“In ultima analisi, il legame di base che ci unisce è in fondo il fatto che tutti viviamo su questo piccolo pianeta. Respiriamo tutti la stessa aria. Tutti abbiamo a cuore il futuro dei nostri figli. E tutti siamo mortali.” (J.F.K)
Alzare muri, bloccare porti, separare famiglie, censire, etichettare… Pretenziosa, al massimo “strumentale”, arroganza.
Esiste una sola patria, il pianeta Terra.
Ed un solo popolo, il genere Umano.
Sarebbe ora che qualcuno se ne facesse una ragione.
Grazie Erri per queste parole che fanno bene al cuore in un periodo come questo dove si ascoltano solo bestialitá!
Un inno all’integrazione, contro i nuovi ghetti, perché a volte non c’è un ritorno ed è bene accogliere la terra che accoglie:
“Non vivere su questa terra
come un estraneo
e come un vagabondo sognatore.
Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all’uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza
e il dolore dell’uomo.
Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani,
ti dia gioia l’uomo!”
(Prima di tutto l’uomo, di Nazim Hikmet)
grazie Erri, aspettavo le tue parole.
ovviamente wwwdemocratica.com
Da leggere su DEMOCRATICA l’intervista a DIJANA PAVLOVIC attice e attivista per i diritti umani di origine rom
Scommetto che ognuno di noi ha dinanzi le foto sbiadite dei parenti , il biancoenero di facce un po’ spettinate dal lungo viaggio, ancora immersi nello stile contadino che li ha prodotti. Loro, vegetazione ripiantata a forza in un giardino che piano piano diventa foresta, con i dialetti ballerini che scivolano tra i quartieri mezzi occupati e mezzi no. Io ho rivisto i miei nonni e i miei zii con i visi tirati dall’espressione di chi non sa se ridere o star serio. “I terroni, arrivano i terroni, quelli che piantano il basilico nella vasca da bagno perché non sanno manco cos’è…” Sì, talvolta era così, ed era bellissimo! Cercar la natura da far crescere pure in una vasca da bagno; del resto, non avevano più terra, solo fabbriche da veder crescere ( mia nonna è morta a 90 anni e nella sua casa di 45 mq si contavano 45 piante!). E ancor prima… i bisnonni, con le valige (quelle si!) di vero cartone acconciato con cinghie di fortuna, che a guardarli nelle foto ingiallite non si sapeva se arrivavano o partivano. Certo è che i visi non sorridevano affatto. E siamo arrivati al 2018, assieme ai vecchi viaggiatori ecco i nuovi, stessa speranza e stesso dubbio. Non credo però come dici tu che non abbiano il verbo ‘tornare’ nella mano… secondo me ce l’hanno , perché tutti (soprattutto gli italiani) di quella parola lì han bisogno per sopravvivere altrove. Poi, sai com’è: basta un amore , un figlio, un successo… e casa tua in qualche modo diventa il giardino spuntato in un’altra terra. Ma ‘casa’ è ‘casa’, quella dove sei nato e dove un insulto o doppio senso lo puoi capire solo lì. Per tutti i migranti c’è un’unica condizione nella parola tornare: è possibile ritrovar la propria gioventù solo dopo che si è stati via dal paese tanto, tantissimo tempo. Allora vedi i visi dei vicini e dei parenti incorniciati di quel bianco canuto che vuoi o no ti riportano a chi sei stato, e a chi sarai da persona vissuta. Ciao Poeta <3 sei sempre nel mio pensiero. <3
Visto al MANN (grazie Raimondo ne valeva la pena ) -Atlante piega la testa sotto il peso del mondo sul collo.Mondo pesante, molto pesante,anche oggi da reggere.
Eppure….. qui siamo e qui resteremo.Resisteremo?Nomadare o meglio maramaldeggiare?Fino a quando?
La promessa fatta a Ogni cosa è illuminata, anzi a Camila, da Erri, è stata mantenuta in modo sublime.
Penso che la storia sia composta da momenti che potrebbero ripresentarsi. Mi piacerebbe spostarmi in qualsiasi parte del mondo se ne avessi voglia o necessità e con la possibilità del ritorno.
Un saluto,
Stefania
Tornare non è ritornare è l’aver perso per strada un pezzo del preziosio tempo, la vita altrove. Grande Erri De Luca
Se non al prezzo di uno sforzo di generosità raro come il genio,si è sempre barbari verso i deboli (Simone WEIL)
Oggi ho imparato una parola nuova :nomadare.
Mi chiedo da dove sgorgano le parole,
quelle corpose e precise,quelle, a volte così astratte,
che si sciolgono come neve al sole.
Sono la nostra sostanza, quando si ammalano
contagiano l’aria che respiriamo
e tutto diventa un parlare vano.
Babele viene in mente e il dono
delle lingue-contemporaneamente.
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Censimento degli zingari-la mia terra mi trema in tasca.