Per una scrittura in corso mi sto occupando di Michelangelo. Nella sua biografia riconosco un’antica lezione.
Si diventa unici passando dalla via maestra della copia, dell’imitazione. L’originalità è un traguardo non il punto di partenza.
Michelangelo ragazzo nella bottega del Ghirlandaio si perfeziona nel disegno eseguendo copie. Sviluppa così una precoce maestria al punto di superare il suo maestro.
È la disciplina dell’apprendistato.
Il talento può esserci ma dev’essere sottomesso all’esercizio assiduo, alla ripetizione a oltranza.
Il talento preso come un vantaggio di natura, a sé stesso bastante, è la lusinga della scorciatoia che impedisce la crescita e l’acquisto dell’originalità.
Il talento così malinteso è un formidabile ostacolo.
In scrittura la sola scuola, il solo apprendistato è la lettura. Assorbire lo stile innumerevole degli altri permette di raggiungere il proprio che si forma dissimile e continuamente apprendista.
Michelangelo scolpisce da ventenne il David, e da ottantenne dice :”Sto ancora imparando”.





Inseguire la propria “vocazione”, “talento”, “carattere”… Come un ragazzo insegue un aquilone, un ballerino la musica più accordata con le fibre dei suoi muscoli, la voce con il suono del rifrange dell’onda sugli scogli, di una foglia tagliata dal vento… “È tutto nel marmo” e tutto deve conformarsi al suono iniziale per avere inizio nella materia. E la parola sul rigo. Ed il primo passo.
Si può rispondere di no, a quella chiamata, e rischiare di attardarsi dietro mille proiezioni; è concesso l’arbitrio dell’illusione a chiunque faccia il tentativo di ammaestrare l’istinto. Ma ciò che non si può smettere di fare è ispirarsi a quei due. “Non si smette mai di imparare”.