Un antico trattato commenta uno dei primi versi di Genesi/Bereshìt: “Sarà luce. E fu luce”. Spiega che la luce esisteva già, ma furono le due parole: “Ieì or” ( sará luce) a rivelarla al mondo, spargendola a distesa. Dal verso e dal commento imparo che le parole illuminano la realtà, la rendono visibile e le danno concreta definizione. Le parole arrivano a spiegare la realtà, nel senso di svolgerla da un rotolo.
Il vocabolario è perciò una sorgente luminosa, contiene un’energia inesauribile, gratuita, alla portata di ognuno. Chi non ne approfitta, limita la capacità d’illuminazione dei suoi paraggi.
Le parole sono il più potente strumento a disposizione di chi ha necessità di difesa da un torto, da un’oppressione. Una comunità che deve battersi per il riconoscimento di un suo diritto, per prima cosa convoca un’assemblea. Prende la parola. Il verbo è giusto: anche in una democrazia formale la parola non è automaticamente concessa. Va presa. L’assemblea prende la parola, ascolta gli interventi, le proposte, le mette ai voti.
A questo punto la parola presa va mantenuta, tenuta stretta in mano perché non cada a vuoto. Qualunque sia l’azione deliberata, anche l’estrema, ha la sua premessa nella parola presa e condivisa.
Salgo su qualche pedana, invitato a dire la mia, poi scendo, non resto sul podio. Non sono un delegato a dire a nome d’altri. Posso servire da amplificatore delle ragioni di una comunità che chiede un po’ di ascolto. Usa per questo la parola, il più potente mezzo di evoluzione di una società e probabilmente della specie umana.
Uso il vocabolario, batteria solare che serve a rischiarare, verbo che contiene insieme al chiaro anche la voce rischio, giusto e necessario, di chi si alza in piedi a prendere parola.
Erri
Basta smettere di parlare e rimettersi a cantare
Tutto il mondo è in si bemolle mi ha detto
Perentorio in amico con orgoglio.
“Brisingr”!
Ma il vero è che ho pensato che, se non fosse la volta buona, potessimo passare un guaio collettivo alla bocca dello stomaco.
E dopo la tempesta ritrovi la tua testa
Solo chi l’ha perduta si accorge poi
d’averla.Lavita è desiderio e sogno
Quando non c’è il bisogno che fa piegare
Il collo mettendo tutto a mollo sull’unico
barcone o su qualsiasi gommone.
A vita corre sempre e non ci puoi fare niente
Oppure dire un sì non solo al lunedì.
L’inizio è promettente poi dici -Tutto qui-?
Ma il -Tutto qui- è molto ,ripetilo cantando,
Ripetilo ,amando ,al mondo tutto tondo.
In fondo è un girotondo che un giorno
Finirà….ma tu lo sai già ..
Grazie comunque Amedeo
Anche mio nonno si chiamava così
O povera me ho perso ormai la testa
Non la so più trovare
Son certa che per me
Non c’è nulla da fare
Abbia pietà di me
Chi ancora sa pensare
Chi ancora puo’trovare
La sua batteria solare
Amedeo la tua via è la
filosofia ma non può
In questo momento
essere la mia
Forse ho
Bisogno di un po’ di poesia
O forse chissà
qualcosa poi accadrà …
O bé bé.
O bė bé, mi intenda chi sa pensare. La mia batteria solare, questa settimana, ma penso, sapendo pensare, che esaurirò la batteria: ora che l’ho scoperta leggerò molte delle sue opere, come del resto ho fatto coi romanzi di Erri, me la ha caricata una visita al mio consuocero Ettore Tempesta.
Ermanno Bencivenga, la filosofia in 62 favole.
canzone malata
C ‘è un luogo dell’anima che
vorrebbe urlare ,ma ormai
non lo può più fare.
Nell’ora della siccità c’è
tanta umanità, c’è molta
pena che scivola poi via,
sussurra e se ne va
a cercare quel porto
che ha nome nostalgia
In quest’ora che pare ferma,
non serve il vocabolario
ma forse il sillabario
per dire poche cose,
parole le più care e petrose.
Momenti sospesi
come su una corda tesi
Si impara vivendo
si insegna indicando
si ascolta tacendo
La parola definisce l’azione; ne determina la consistenza nel suo cadere, con lo stesso rapporto di reciprocità tra le note e la musica.
Accade, così, nel presente, che un “pagherò” sposti la terra sotto i piedi del Sembiante e il suo agire non abbia contenitore.
Allora rievocare ha la facoltà di far tornare tutto all’attimo che precede il La. E speranza fu e poté sull’illusione.
dubbi…illusione….speranze….visioni
tutto in poco spazio.
così mi piaci
Nun t’allarga’!
hai ragione neanche in casa mia,
e vivo sola,occupo tanto spazio.
Buona
giornata
parole ,in questo caso ,come pretesto
per salutarvi
Erri hai troppa fiducia nel vocabolario,
mi pare la stessa dei costruttori della Torre di Babele.La parola a volte può
molto a volte no.A volte e’ la musica
a far cadere i muri d’inciampo.A volte poi
bisogna solo far passare a’nottata…..
rischiarira’…..si deve pur sperare prima o poi.A te e a TAppino il mio amore e la mia stima se poi vale qualcosa scriverlo qui.Ma se non qui, dove?
(Premessa: Qualcuno un giorno prese le parole di Dio e gli fu dato compito di riportarle. Da questo sappiamo due cose, la prima: che un tempo ci parlava; la seconda: che non ci rivolge più parola. Credo abbia smesso del tutto quando si è vesto tornare il Figlio in uno stato pietoso, da invitato speciale a pezzentone da cacciare a calci in cxlo. E dagli torto. Che sia proprio Lui ad aver rimaneggiato in senso restrittivo il potere della parola mi fa pensare… a te no? )
Caro scrittore, parli di ‘parola’ mischiando il senso del sacro con il profano uso che spesso se ne fa. E non siamo profani solo per condizione umana, ma per evoluzione civile distorta, saccente, truffaldina.
Una volta si diceva: “Ho dato la parola” per confermare l’impegno con qualcuno senza possibilità di sostituzione di interlocutore. Oppure si esclamava “ Parola mia!” quasi un giuramento sulla verità proferita. Ma cosa vale adesso Erri? Che peso ha ‘sta parola oggi? (Perché un peso lo deve avere, la parola… è cosa che poi fa avvenir cose, come Dio insegna). Qual è il masso, la pietra angolare che fa della parola la sicurezza che poi quel che viene detto si compia? Io tento una risposta… la reputazione Erri. E’ la reputazione di una persona, di quello che ha fatto e come l’ha fatto, della considerazione generale che la gente ne ha. Come puo’ aver peso il sermone di un prete di cui la comunità conosce vizi imperdonabili? Come possono aver peso i comizi dei politici e i loro interventi radiotelevisivi, se accumulano giorno per giorno il biasimo della gente viste le loro azioni abominevoli? Chi si salva davvero dal giudizio di una parola data? In pochi Erri, in pochi… e bisogna anche stare attenti a quei pochi. (Mi ricordo di qualcuno che di recente, parlando di TAV, per aver detto un verbo scomodo in un’intervista, abbia pizzicato sul vivo l’interesse dei soliti magnaschei … quindi questo mi fa capire una cosa fondamentale: Non è tanto la parola detta, ma da CHI. )
Data quindi l’usanza odierna di non rispettare i propri intenti pubblicamente detti, di trasformarne il senso con “ Non avete capito, volevo dire che…” è chiaro che ormai la parola non solo non vale più una fava, ma è diventato il primo strumento a delinquere, e questo non solo per il cattivo esempio dei politici. Siamo anche noi facili a farci abbindolare, noi i creduloni! Ci piace sentir di essere fondamentali per la riuscita di un progetto anche se sotto sotto sappiamo benissimo che non lo vedremo mai realizzato.
Non è che le stiamo dando troppa importanza, Erri? Sì, adesso mi dirai che gliene stiamo dando troppo poca… però ammettilo: detto da uno che ha un rapporto con le parole (e pure di un certo livello!) ‘privilegiato’, è un tantinello sospetto, questo attaccamento nobile. Io invece direi che forse c’è qualcosa che non va, forse ora non può funzionare come tu speri. Il dialogo è tale se c’è qualcuno che dice e l’altro che ascolta… negli ultimi anni vediamo che la comunicazione (soprattutto politica) è solo più discarica di sensi, rumore, tutti parlano e urlano… senza dire spesso un cavolo di interessante o costruttivo; e pretendono l’attenzione pure! Come se fosse loro dovuta, come se gli interlocutori fossero tutti studentelli brufolosi costretti a sorbirsi lezioni di un corso di astrofisica a cui non s’erano mai iscritti. Da quando si sono svuotate le piazze di raduno (eccetto che per pochi) i rappresentanti politici te li ritrovi ovunque in tv! Te li infilano a forza dappertutto, LI DEVI ASCOLTARE, per forza, perché se no sarebbero come il silenzio che quando lo nomini non c’è più, e questo non possono permettere che succeda, no? Violenza di parola inculcata.
E c’è qualcosa che non va specialmente quando dici che la parola va presa… eh! ‘na parola, appunto. Quando si arriva a dover : non prendere, ma strappare! Il diritto di dire qualcosa, si è arrivati alla negazione del senso gentile del dialogo, della parola come scambio; e a quel punto: si deve aver pronta un’azione. Perché l’unico modo per rendere efficace una parola presa è quello di far seguire azioni che la sostengono. Va da sé che il valore della parola cambi di posto, come va da sé che l’altissimo intento di parola millantato e poi villipeso dai sé dicenti governanti finisca nella prima turca libera, a danno irreversibile della credibilità generale della stessa.
Dici “ … la parola, il più potente mezzo di evoluzione di una società e probabilmente della specie umana.”
Tesò, forse sì, eravamo partiti bene, specialmente dagli ultimi 100 circa in su…stava funzionando. Ma oggi no; il mezzo ha sbandato e va portato in rimessa. Invece della parola e basta potremmo usare un po’ di più le mani, gli sguardi, la forza delle azioni e alla parola relegare solo il tanto che basta per capire il da farsi, e rispettarne finalmente il significato del poco che si usa (…e anche un po’ di sano silenzio, e che cazz!)
Potremmo usare altri linguaggi…Magari ne dovremmo usare meno, magari la dovremmo mettere a riposo e utilizzarla solo per le belle arti e per il bel dialogo; magari la potremmo riprendere tutti con più calma dopo la guerra civile (che ormai è arrivata alla frontiera della pazienza e sta per entrare senza pattine ai piedi), che la sostituirà inevitabilmente, visto che su di lei e per come viene usata non si può più contare. Magari è arrivato il momento di accorciare il tempo delle parole e far seguire quello delle azioni. Pare che la parola data oggi, più che far succedere le cose come ai tempi di Dio, o inganni o s’inganni. Facciamo una bella credenza di parole e conserviamole per tempi più civili , allora… pe’ mo’: amma vuttà ‘e mman.
Ciao Poeta <3
PS: Tu comunque continua a parlare… almeno ci rinfreschiamo <3 – scusa la lungaggine
Ciao Erri!!! Sei presente, profondo e saggio. E noi tutti siamo fortunati a leggerti. A proposito di parole due curiosità: Iei è la stessa radice di Jhave? E or di orao? Il tappino che ha commentato prima è nome toponomastico di quello molisano vicino Campobasso? Riconosco nelle parole precedenti un certo sconforto di non so quale matrice, hai scritto tuttavia cose molto condivisibili. Nella mia terra lontana dal centro (di cosa poi?) regna una strana abitudine al lamento…non dovevamo concentrarci sulla luce? Grazie a entrambi per gli spunti di riflessione e per esserci.
Sono senza parole!
ne sono fiorite abbastanza
in questo prato,mi pare…