Il terremoto non è un’emergenza, è la normale condizione critica del nostro suolo. Abitiamo una superficie instabile, che si alza e si abbassa a un suo ritmo periodico e frequente di marea terrestre. Corriamo a precipizio con regolarità di ciclo. Emergenza è invece un accidente inatteso, occorso una volta. Da noi si eleva a emergenza qualunque guaio che non si sa governare, dai rifiuti in su.
Guardo nella mia stanza la caffettiera, le scarpe, la chitarra, una fotografia, il letto, le cose quotidiane che in molti hanno perduto da un’ora all’altra, scaraventati all’aperto. Riconosco il privilegio dell’abitudine, di poterle usare.
Le guerre riproducono le stesse rovine, gli scampati si assomigliano, trascinati fuori con il solo bagaglio di se stessi da mettere in salvo. Può essere già qualcosa essere in esilio nella propria lingua, senza dover balbettare un inglese di pronto soccorso? No, l’esilio fa balbettare sillabe di aiuto anche nella propria lingua. La fuga fa inciampare ovunque, anche senza sgambetto.
La mia famiglia uscì al mattino di casa e la sera ci dividemmo in stanze di parenti. Non rientrammo più.
Paola, che presiede la Fondazione col mio nome, a marzo è scappata di casa, l’odore di bruciato nei capelli. Alle spalle l’incendio annientava le sue cose da cima a fondo. Una maglietta, i sandali, una gonna era la somma di quello che le restava. Poi per mesi ha rovistato nella cenere in cerca di qualcosa da salvare. Era un incendio solitario, non ha potuto condividerlo con nessuno.
Tra noi ci sono cinquecentomila persone escluse dal servizio sanitario grazie a una legge che lo fa dipendere dal possesso del documento di residenza. Firmata da un ministro abbinato a un orologio Rolex, di un governo precedente, l’insensata legge continua la sua espulsione con l’attuale.
È in corso un tempo e un’annata buttafuori. Non è emergenza di anno bisestile, non è colpa del 29 febbraio. Proprio per questo è oscena ogni mossa che esclude, che respinge, mentre valorosa è qualunque mossa opposta, a includere, a rimettere dentro, procurando riparo, ospitalità.
Erri De Luca
Amatrice, ottobre 2016
Torno su questa tua pagina, “Buttafuori” ė ancora qui. Mi viene in mente : “Le città e i morti. 2.” di Italo Calvino. Un paio di passaggi
” … Un’erbivendola pesava una verza sulla stadera e la metteva su un paniere appeso a una cordicella che una ragazza calava da un balcone. La ragazza era uguale a una del mio paese che era impazzita d’amore e si era uccisa. L’erbivendola alzò il viso: era mia nonna.”
” … Pensai: – si arriva a un momento nella vita in cui tra la gente che si é conosciuta i morti sono più dei vivi. E la mente si rifiuta di accettare altre fisionomie, altre espressioni : su tutte le facce nuove che incontra, imprime i vecchi calchi.”
“.
i nostri bei borghi,dai nomi evocativi,libri dell’inquietudine.
penso questo,mentre tolgo la cenere del giorno prima
dalla stufa e mi preparo per il giorno che mi viene incontro
con gioia ,con pena e tanto altro che ancora non so
Gli oggetti quotidiani celano le abitudini, il riposo, ma anche altro…Una caffettiera, come la terra, è anche piccolo terremoto, pressione e rumore, alluvione di acqua nera…
Un giorno ci ricongiungeremo con tutto quello che abbiamo separato da noi con l’atto del “buttare fuori”. Il bambino, il catino, i panni sporchi, lo straniero…
Ci sentiremo così soli con l’idea strampalata di sicurezza, che abbiamo creato per sottrazione del senso del pudore, che usciremo fuori poiché nulla si potrà più ricostruire. E non è giusto che si debba sempre ricominciare da zero. Questa è forse la differenza sostanziale tra un terremoto in terra occidentale e un’altro che arriva a sconvolgere il vuoto, ventre da cui nasce l’attimo perfetto, il dentro-fuori da cui rinasce ogni volta il Giappone. Ballare con la terra…
sì,Italie ma belle,la bellezza è fragile,
la vita èfragile.Così un poeta Issa,giapponese.
-è di rugiada
un mondo di rugiada
eppure eppurei
SARINAGARA
…Eppure la vita continua.
Sospensione momentanea di senso, la morte,
dell’atto di passare il testimone.
Della vita che fluisce incessante in altre vite. E della follia.
(Italie, ma belle non sono io, ma sembrerebbe che ci apparteniamo nell’amore della bellezza. Che del copyright se ne fa un baffo!)
Canetti
-Non esiste massacro che protegga
dal prossimo massacro-
la cosa peggiore: l’esilio dalla propria
lingua.Il medio Oriente immagine
del bue squartato inevitabilmente
Rembrandt.
Volgere l’angoscia in speranza.
Truffa o prodezza dello scrittore
ancora Canetti
e ancora-Lasciare tracce:troppo poco-
ricostruiremo , ci vuole tempo,
sì ,tempo e fiducia
Ciao tesò… eh. Le tue parole hanno il senso della resa. E forse è uno dei pochi casi in cui è giusto avere quella sensazione lì. Intanto nella testa di tutti si fa largo il pensiero: “ E se succedesse pure alla mia famiglia?” A Torino qualche scossa l’abbiamo avuta, niente di serio rispetto al centro e sud Italia… ma ogni tanto balliamo pure qua. Poi penso che è una delle domande più inutili che una persona si possa porre, quando succede … succede e si vedrà. C’amma fa?
Ci pende non tanto sulla testa quanto tra i piedi una condanna a scadere che nessuno di noi può scansare, prevedere, fuggire. Ci insegna la cara Paola che neanche lei ha potuto, quando l’è toccato di raccattare i resti di un’improvvisa sciagura… capita. Anzi, come sento dire spesso a voi napoletani : “E’ capitato…” ( ho un’amica napoletana che dice spesso così; ma quando lo dice parla di avventure amorose occasionali, più che di disastri … scusa, sono cretina inside, ogni tanto la devo buttare a ridere). Tornando seri, non è facile accettare una condizione imposta. Ne dobbiamo già accettare tante così oggi come popolo, tra governi ladri, disoccupazione, immigrazione che vuoi o no crea un sacco di problemi… mo’ pure o terremoto amma acchiappà? Eh sì, c’è pure lui. C’è chi cerca interpretazioni naturalistiche o religiose, c’è chi grida al mancato adeguamento delle strutture e dei lavori mal fatti sugli edifici… ma quanto possiamo difenderci dall’uno o dall’altro? ‘Siamo sotto al cielo’, diceva mia nonna. E dicendolo si guardava le mani aperte, non in alto, per rispetto a un Dio che non può risolvere proprio tutto; però lo faceva lo stesso, come se le mani aperte in preghiera potessero in qualche modo scongiurare e pregare contro catastrofi annunciate.
Scrivi “ E’ in corso un tempo e un’annata da buttafuori”. Sì, è così, ‘siamo sotto al cielo’, più precari ed esposti che negli altri anni; stiamo alle intemperie di anni sbilenchi , di valori annacquati, di tradimenti e rattoppi di case e di vite… e la sensazione di impotenza permea la speranza disperata di un futuro meno stronzo di questo. Chissà che la ricetta, come tu indichi, non stia proprio nello stringerci l’un l’altro e nel trovare nel prossimo da aiutare la cura contro l’egoismo e la paura. E tiramm annanz và, tanto : o così, o non ci aiuta mica nessun altro! Ora scappo a onorare quel poco di lavoro raccattato nella mia Torino con le pezze al culo. Anche oggi avrò qualcosa in comune con chi racimola di che vivere, in linea parallela e con poche differenze con chi il terremoto nella vita ce l’ha per altre ragioni, e si sente buttato fuori. Kisses
Formidabile