Leggo qualche racconto di Cechov in Russo, una edizione bilingue per risparmiare il tempo di consultare il vocabolario per le parole che mi mancano.
Cechov gronda di aggettivi, descrizioni, periodi lunghi che esplorano dettagli, forme che possono affaticare un lettore moderno, eppure i suoi personaggi restano piantati sulla pagina come alberi, unici, radicati dentro il loro tempo. A me fanno venire desiderio di espiantarli e trasferirli nel mio.
Da lettore ho più capacità di affezionarmi a degli sconosciuti di quanta ne abbia nella vita. Del resto la vita non si preoccupa di presentarmi così precisamente degli sconosciuti. Dev’essere questo il motivo per cui leggo. Allargo l’ambito di persone da osservare con la massima sfacciataggine. Il lettore è un ficcanaso autorizzato. La sua giustificazione è che in quei momenti è solo. La solitudine è un’attenuante.
Cechov offre generosamente la sua capacità di osservatore degli altri, dote che si può attribuire alla sua professione di medico. Le sue storie sono cartelle cliniche dell’umanità. Scrisse di considerarsi sposato alla medicina e di avere per amante la letteratura. Per quanto riguarda quest’ultima relazione è certo che è stato ricambiato.
Si ripete in mezzo all’inverno la fioritura delle mimose che ho piantato sul campo. Contro il grigio di un giorno piovoso squilla il loro giallo intenso a sovrapporsi.
Associo le mimose a Cechov per questo effetto di deporsi sopra, a contrasto, a conforto.
Lo ammiro come ammiro la fioritura. Le sue pagine si stendono sopra l’inverno del lettore, gli placano le urgenze.
Si esce da un suo racconto meglio disposti, come dopo essersi rinfrescati gli occhi col giallo di mimose.
Grazie Erri, ogni volta le tue parole le tue riflessioni mi “rinfrescano” l’animo come il giallo delle mimose può fare con gli occhi.
Poiché “la cultura umana attenua la lotta per l’esistenza e la selezione, e tende ad annullarla – da ciò la rapida moltiplicazione dei deboli – è terapeutico, al fine di vivificare l’immaginazione e l’istinto, mettersi in disparte e liberarsi dall’identificazione con i tumulti interiori, per confrontarsi e discutere con loro…
A proposito della debolezza intellettuale, credo che Cechov intendesse fare questo per “innescare” un albero, la vitalità culturale. Cioè è possibile trasformare gli “escrementi psichici” in concime vitale.
Anch’io amo molto Cechov. C’è un’intensità nella sua scrittura apparentemente lieve che porta i suoi personaggi e i suoi paesaggi fino a noi dalla remota steppa (remota nel tempo e nello spazio) in cui li ha “visti”. Grande anche il suo reportage sull’isola di Sachalin. E mi aveva molto commosso il film di Michailkov Oci ciornie, cin un Mastroianni al meglio di sé stesso….