“C’è una crepa in ogni cosa, ecco come entra la luce”. Questo verso è di Leonard Cohen dal suo canto “Anthem”, inno.
La geografia, alla lettera scrittura della terra, è piena di crepe prodotte dal sottosuolo vulcanico e dall’impatto di asteroidi. La superficie del pianeta è sottoposta a continua stesura e le specie viventi sono la sua narrativa. Botanica, zoologia, scienze naturali con le loro descrizioni accurate sono branche di una letteratura terrestre.
La distinzione tra materie scientifiche e classiche è una suddivisione artificiale. La conoscenza è narrativa in corso, “earth’s romance”, romanzo della terra, secondo un verso di Melville.
La specie umana interviene sulla geografia, costruisce dighe, prosciuga fiumi e bacini come quello di Aral e del Mar Morto, collega due oceani a Panama, due mari a Suez. Dal 1869 il Mediterraneo è unito al Mar Rosso, permettendo la circolazione di navi e anche di alghe, pesci, molluschi. Il loro spostamento è definito migrazione lessepsiana, dal nome del promotore del Canale di Suez.
Gli enormi movimenti di masse umane da un continente all’altro sono il più vasto capitolo della nuova narrativa terrestre. L’1 percento della popolazione mondiale, settanta milioni di persone, è sottoposta a pressioni che obbligano a dislocarsi. I confini, ignoti alla geografia, sono niente di più che convenzioni amministrative, superabili in stato di necessità.
Metto insieme in questa pagina specie animali e vite umane per un’evidenza in comune: non possono essere impedite.
Non sempre dalle crepe entrano luci, ma di fenditure, brecce è fatta la scrittura della terra e la storia umana.
Lo so che sono fuori tema, ma penso sia doveroso divulgare.
A proposito di TAV.
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=3639334562749772&id=974722232544365&sfnsn=scwspwa&extid=S3pBVkXL99HkTp2H
E poi c’è il libro “La crepa” con le foto di Carlos Spottorno e le parole di Guillermo Abril che mostrano le immagini della crepa ai bordi dell’Europa.
Ricordo la mia prima gita familiare alle grotte di Frasassi, nelle Marche, e la storia di un uomo che scava nella ferita della terra per scoprire un mondo sommerso, per rivelarlo alla superficie, per mettere in comune quell’esperienza.
E’ così che il mondo acquista un senso. La vulnerabilità, in-fondo, è la condizione stessa dell’essere umano che si apre alla comunicazione con quella parte di sè da cui si sente separato o minacciato. Allora i ponti potrebbero essere un tentativo di ricucire i lembi della ferita, di “medicare l’umana natura” dalla mancanza di senso e di istinti, a differenza degli animali… E’ il bisogno di costruire, di sottomettere il mondo che abita e, paradossalmente, “per essere al mondo ha bisogno di lasciarsi contaminare”…
Forse la pandemia, che deve essere ancora raccontata, avrà un senso soltanto se ricondotta al suo significato sociale di “scambio”. Con gli eventi della vita che invece si rincorrono per dimenticare. Sembra, infatti, che non sia socialmente accettabile che non si riesca a sapere niente di definitivo su un argomento, per cui anche un incidente può essere “isolato” e imprigionato nella casistica con un margine di mistero al quanto più rilevante da un punto di vista scientifico.
La xilella è un personaggio del grande earth’s romance, per esempio.
Caro Poeta, come sempre riesci a suscitare immagini , ricordi e pensieri che mi portano qualcosa a risacca… tu parli di crepe e a me vengono in mente i muri stonacati del centro di Napoli. Scrivesti, un giorno, del tufo che illude i muratori che lo coprono di moderni intrugli impastati, per poi ricicciare fuori con l’amicizia del sale e del vento. Come studentessa ho un vizio che mi porto dalla nascita, una pratica che mi lasciava indietro nelle comitive di allievi annoiati che spesso perdevo. Dei grandi palazzi storici tutti ovviamente guardano la struttura, osservano la pianta, ammirano l’ampiezza dei torrioni e la possenza di mura mai espugnate se non dal tempo… io ancora oggi metto le dita tra una crepa e l’altra, chiudo gli occhi e immagino la faccia di chi li ha costruiti, la voce degli operai, i vestiti, le bestemmie nei dialetti per la poca paga, la pietra storta buttata là da una giornata di fatica e rimasta così nei secoli. Per me Storia è quella lì, non la gloria di chi ci ha messo vigliaccamente il nome sopra con i titoli. Storia è la malta che unisce e assieme la crepa che si forma in silenzio, compreso il sole che ci entra dentro in modo sacrosanto. Crepe. Sì, ma di crepe ce ne sono tante, tu ne hai ricordate alcune storiche che hanno sì consentito passaggi impensabili nei secoli precedenti… ma Erri, a che prezzo! (Centinaia di morti di stanchezza e malaria, incidenti da scoppio di dinamite, suicidi per bancarotta…possono mai giustificare un’opera del progresso? Mah…) Tu vedi dall’altro capo della riva il bello di un’opera finita e dei risultati (fluidità di movimento, libertà di comunicazione), io per carattere e per altri motivi devo fare un bilancio pro e contro. Le brecce sono dolorose, sono sempre dolorose. Soffre la schiena della terra spaccata dal sole per far uscire il frutto di un seme, soffre una pietra quando una radice secolare insiste, soffre la montagna scavata da un’opera inutile (PS: hanno ricominciato…). E non c’è modo di sapere se il frutto sia buono, se la pietra rotoli a valle, se la montagna regga alla pressione umana… e nemmeno c’è modo di sapere se tutto quello spostamento di uomini cose e animali consentito da pertugi scavati artificialmente sia positivo o meno per ciò che si muove attraverso, o sia solamente uno dei mezzi di arricchire i pochi noti.
Accanto a tutta quella voglia di definire Stati, pertinenze, reami e possessi si affianca la voglia di creare altre crepe che prorompe, laddove si osservano muri fisici (eretti anche di recente: Messico e USA, in Turchia, in Ungheria, a Melilla…) e nelle menti benpensanti dell’Europa. Tutti questi passaggi per il ‘dove’ a cosa servono se poi il passaggio è condizionato, proibito? A cosa servono davvero le crepe che la natura non ha creato? Sarà un dolore per quell’1% di vite far breccia, com’è stato èer quelle del muro di Berlino. Forse, dire che scienze e lettere non hanno confini come non ne dovrebbero avere le realtà nazionali potrà essere uno spunto, ma più che queste saranno le parole ‘politiche’ dei grandi intellettuali di questo tempo a introiettare la malta della ragione per sanare quelle divisioni fatte di contraddizioni in un’era in cui spostarsi non sarebbe un problema per nessuno, e la terra ci è testimone. C’è chi la Storia la studia, c’è chi la fa… 😀 ( … mi risulta che hai fatto il muratore…)
Ciao tesò (scusa le chiacchiere). <3 <3
Il tuo tappo.
Letteratura terrestre…Asteroidi, fiumi, luci, migranti passano e scrivono sul foglio di carta Terra!
Bellissimo. Grazie!