Un detto napoletano afferma: ” ‘O tiempo è ‘na chianozza”, il tempo è una pialla, vale a dire che smussa e alliscia le asprezze.
Un po’ mi riconosco. I miei comportamenti erano ruvidi, senza riguardi. Nei rapporti con le persone ho smussato i miei spigoli.
In altri campi no: nelle convinzioni, negli impegni assunti durante la gioventù collettiva e poi da singola persona. Di fronte agli avvenimenti decisivi, emigrazioni, guerre, il tempo non ha piallato niente. Dentro di me ci sono superfici che non possono essere allisciate, come legni che danneggiano la lama che lavora a pareggiare.
Ho dato dimissioni da amicizie su questi argomenti per me intransigenti.
Un altro tema in cui il tempo non fa da paciere sono i lutti. Non sperimento la distanza lungo lo scorrere degli anni. Sto nel prolungato giorno uno delle loro assenze.
Pratico al contrario il rinnovo della vicinanza, della loro convocazione ogni volta che ne pronuncio il nome e un ricordo. Ogni volta che di loro scrivo.
La scrittura mi permette un’adesione, un tempo in cui coincidere di nuovo, non l’elaborazione di una lontananza.
Il ricordo è una forma di appello in una classe affollata, dove qualcuno chiamato per nome si alza dalla sedia per rispondere.
Tutti loro si sono trasferiti dentro di me. Poi vanno ad abitare anche in qualcun altro, spostandosi secondo le occasioni di essere ricordati.
Sui loro resti terreni crescono generazioni di foglie, dentro di me no.
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