Chagall figlio si sfila dall’ombra del padre. Non ne segue il mestiere, vuole ripulirsi dall’odore di pesce per il quale lo prendevano in giro. Lo ricoprirà degli oli di pittura, col diluente della trementina.
Lontano dalle casse sollevate dal padre, dalle dita sformate dalle artriti, Marek vuole imparare la leggerezza, la stesura precisa del tocco che sfiora la tela. Lo studia dove è nato, a Vizebsk, lo approfondisce a San Pietroburgo, infine a Parigi impara a calcare il tratto, a spingere sulla pennellata selvatica. La può raggiungere chi ha prima imparato quella lieve, che le donne allo specchio conoscono a memoria.
A Parigi ripensa a suo padre a Vizebsk, al massacro di Ebrei che coincise con il suo atto di nascita. Da lontano vede nitidamente quello che allora si è sparso alla rinfusa dentro i sensi addestrati dal terrore.
Ferma le immagini che allora erano tempo in corsa. Tate Khashke, papà Zakhàr, nome che in Ebraico viene dal verbo ricordare. Marek ricorda con rabbia di se stesso l’uomo che gli ha permesso la libera uscita dal destino segnato. A Parigi si pianta di fronte a una tela stretta e lunga e decide di incontrare suo padre.
Isacco segue, non scarta di lato, non butta in terra il carico di legna e non iscappa a perdifiato per salvarsi la vita.
Ho salito molte montagne con un carico sulle spalle. La cima avvicinata, a portata di sguardo, rinnova le energie. Gli ultimi passi sono i più leggeri.
Per Isacco i passi che portano sulla cresta spellata del monte Morià pesano piombo. Non nei piedi, sul cuore: suo padre, il suo ideale, il beniamino della divinità che usò il coltello su di lui per la circoncisione, sta per ucciderlo in un posto deserto, guardandolo in faccia.
Lo sta facendo in obbedienza a una voce che nessun altro sente. Isacco alza lo sguardo al cielo per non guardare in terra gli occhi di suo padre. Sopra di lui galleggiano ali nere. Non è il cielo di Gerico pieno di cicogne di passo in primavera e autunno.
I passi che lo conducono in cima arrivano al patibolo. Il sudore colato dalla fronte porta via qualche lacrima pesante. Ne esistono anche di leggere, come quelle di gioia. Quelle di Isacco scendono da altre sorgenti.
In questa trasposizione del viaggio (dal punto di vista) dell’eroe e dell’anti-eroe, Isacco si “sfila dall’ombra del padre”, invece, accettando coscientemente di andare incontro proprio al destino non scelto da lui. In Chagall, la percezione dell’io del suo corpo è scissa dall’ “io degli altri corpi che fanno il mondo”, quando sente il bisogno di affrontare il ricordo di suo padre proiettandolo sulla tela… (tanto che sembra che sia il padre a sottrarsi dall’ombra del figlio)
“A Parigi si pianta di fronte a una tela stretta e lunga e decide di incontrare suo padre.” Così da figlio a padre. Marc Chagall non aveva fin qui incontrata tale comprensibile comprensione.